Ecosostenibilità e cultura, i pilastri della destinazione turistica moderna
Eco-sostenibilità e riqualificazione collimano sempre di più nel concetto di identità territoriale che va a riscoprire tutta quella serie di tradizioni, usi, costumi e riti che fanno di un luogo, un luogo unico e particolare, basato su prodotti e processi sicuramente sostenibili.
E proprio la dotazione di questo patrimonio storico, artistico, culturale, di tradizioni e di bellezze naturali va a conformarsi come mix di caratteri distintivi di un prodotto turistico basato sulle peculiarità locali, difficilmente ripetibili, che spostano l’interesse dei nuovi turisti verso la ricerca di esperienze.
Come afferma Santamato (2012) “…le risorse locali tendono a diventare le principali fonti di vantaggio competitivo e gli elementi di differenziazione più importanti…”.
Parliamo allora di precise tipologie di esperienze connesse alle tipicità del luogo, agli usi legati al territorio che si sta visitando, con la consapevolezza di utilizzare prodotti locali, cibi semplici, non artefatti, prodotti come impone la tradizione, riferendoci ad un territorio che va oltre i confini geo-politici, va oltre la definizione di Comune o Provincia al fine di scoprire il proprio vantaggio competitivo.
Le emozioni, carta vincente del turismo culturale
In quest’ottica, fatta di operatività digitale e connettività perpetua dobbiamo partire dal presupposto che il turismo è un fenomeno sociale di stampo strettamente psicologico, poiché estremamente connesso all’esperienza che il viaggiatore vuole fare o che porterà a casa una volta concluso il viaggio.
Per tali ragioni, il turismo culturale è uno dei principali destinatari di queste esperienze, proprio perché il turista tenderà a cercare nuove emozioni, legate al territorio che lo ha attratto durante la scelta, connesse quindi alle sue diversità, ovvero caratteristiche peculiari e distintive, alle persone del luogo, alle loro tradizioni (Albano, 2014).
La “scalata” dell’agriturismo
Oggi i turisti non si accontentano più del semplice relax, cercano un ricordo, un pezzo della terra che hanno visitato, una ricetta, pernottare in strutture ricettive che ricalcano la storia locale. Basti pensare che il settore dell’agriturismo (Bagnoli, 2010) ha registrato oltre un miliardo di euro di fatturato e 3,4 milioni di visitatori nel 2014 con previsioni di almeno un milione in più per il 2015 (dati Ttg).
Con tali trend di crescita si può parlare di “rururbanizzazione” (Lozato-Giotart, 1993). Queste aree incontaminate permettono di riscoprire quel contatto con la natura necessario all’essere umano, immensamente importante come richiamo turistico oltre che per questioni di economicità anche per la riscoperta stessa dei borghi dimenticati e delle popolazioni che, se in grado di gestire il proprio vantaggio, potrebbero trarre spunti di modernità e diversificazione.
C’è necessità di attrarre continuamente e attraverso nuovi stimoli, attraverso una strategia di contenuti (content marketing), magari legati all’italianità, raccontare con metafore nuove [storytelling] il territorio e i prodotti/servizi che offre ascoltando il mercato.
Il food tourism influenza la scelta di un viaggio
Il food tourism, in tal senso, può essere un prodotto interessante in un’ottica di valorizzazione del Made in Italy: partendo dalle tradizioni locali può trarre nuova linfa dai social. I dati evidenziano che è sempre maggiore la fetta dei turisti che si lascia influenzare dalle caratteristiche enogastronomiche durante la scelta di un viaggio.
In Italia siamo passati da un 2008 con il 4,7% di turisti espressamente interessati all’enogastronomia al 2012 con un 6,6%, in cui c’è un aumento quasi doppio di stranieri (Olanda e Germania in testa).
In questo contesto non è difficile pensare ad una “patrimonializzazione delle specialità locali” e quindi una riorganizzazione dell’attrattività locale con al centro le tradizioni, la costruzione di un’offerta dedicata, inserendosi in quelli che sono processi di riqualificazione rurale, slow tourism e slow food.
L’Italian Way che piace agli stranieri
Una recente analisi semantica (Sociometrica, 2014) in lingua inglese del “buzz” su internet ha mostrato che il gradimento maggiore dei turisti è verso le pasticcerie (per i cinesi attrazioni culturali, shopping e gastronomia), i problemi maggiori evidenziati sui social riguardano i trasporti (peggio sugli aeroporti), la criminalità e la sicurezza e che le località migliori (Taormina, Salento, Forte dei Marmi, Portofino, Capri) sono quelle che riescono a intrecciare meglio l’italianità, la qualità e a “materializzare” l’esperienza del vivere italiano, specialmente nell’alberghiero.
Ed è in questi stessi caratteri di spinta che si va a collocare tutta l’offerta turistica italiana, toccando corde sempre più intrinseche, profondamente sconosciute e inesplorate.
Ripartire sembra richiedere prima di tutto coscienza piuttosto che coraggio economico. Infatti la pianificazione turistica va inserita certamente in un più vasto ambito di pianificazione territoriale anche sotto il profilo dell’attività legislativa (sicurezza) e di governo del territorio al fine di garantire una strategia di servizio efficiente e coerente (Hunter e Green, 1995, Hjalager, 1996; Godfrey e Clarke, 2000; BumYong el al, 2000).
La destinazione turistica sostanzialmente può essere identificata come un’amalgama di prodotti, servizi, elementi naturali e artificiali che riesce ad attrarre un certo numero di visitatori in un luogo geografico (Pearce, 1989; Leiper, 1995; Martini 2002); successivamente tale amalgama assume visione unitaria nell’esperienza del turista (Croutch & Ritchie, 1999; Martini, 2002) che la seleziona, la compone e la vive.
Il “centrismo locale”, la rivincita dell’identità territoriale
In tal senso può essere spunto di vantaggio l’individuazione di una identità territoriale, ossia una coscienza di luogo basata sulle peculiarità socio-culturali, sulla cura e sulla valorizzazione delle risorse locali (Magnaghi, 2000) che se debitamente contestualizzata all’interno di una strategia territoriale può assurgere a “energia costruttiva” (Franch, 2010).
Probabilmente siamo all’alba di una nuova evoluzione dei modelli organizzativo-territoriali, partiti dal “determinismo ambientale”, ove si osservava l’incapacità dell’uomo di influenzare il territorio fino al “possibilismo geografico” (Santamato, 2012), dove si ammette l’esistenza di un ruolo del territorio nello sviluppo del turismo.
Oggi forse siamo al “centrismo locale”, ossia territorio e sue caratteristiche poste al centro dell’offerta e motivo di spinta attrattiva, finalmente giunti alla possibilità di trovare adeguata valorizzazione.
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Bibliografia
- ALBANO F.R. (2014), Turismo & Management d’impresa, Ycp, Tricase.
- BAGNOLI L. (2010), Manuale di geografia del turismo, Utet, Torino.
- BUM YONG A., BONG KOO L. (2002), “Operationalizing sustainability in regional tourism planning: an application of the limits of acceptable change frame work”, Tourism management, vol.23.
- CROUTCH G.I., RITCHIE J.R.B. (1999), “Tourism, competitiveness, and society prosperity”, Journal of business research, vol.44, n.3.
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- HUNTER C., GREEN H. (1995), Tourism and environment: a sustainable relationship?, Routledge, Londra.
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- SANTAMATO V.R., MESSINA S. (a cura di), (2012), Esperienze e casi di turismo sostenibile, Franco Angeli, Milano.
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