Chi ha paura del Revenue management?
La crisi economica continua a mordere, è vero. Eppure la strada per migliorare i propri margini di profitto c’è: è quella del FTLab. Ma – come spesso accade – è dura fa digerire le novità in un settore per certi versi statico, radicato su concetti ormai superati da una realtà che ha subito una trasformazione profonda. L’avvento di Internet – solo per fare l’esempio che subito balza agli occhi – ha rivoluzionato anche il comparto alberghiero. Il bacino dal quale attingere i clienti è cresciuto in maniera esponenziale. Ma al tempo stesso anche i clienti sono diventati più esigenti e a caccia di offerte allettanti, mentre la concorrenza si è fatta più agguerrita.
Per molti il modo più efficace per limitare le perdite o per aumentare i guadagni è quello di abbattere i costi. Ma davvero è questa la soluzione? Non proprio. Un taglio del personale, ad esempio, può avere riflessi negativi sulla qualità del servizio, che a sua volta va a compromettere la reputazione di una struttura. Il passaparola fa il resto, decretando la fine di un albergo. A maggior ragione ora che Internet è alla portata di tutti: in questa immensa piazza virtuale basta davvero poco per perdere la propria credibilità.
Cambiare modo di agire, dunque, più che una scelta appare una necessità. In effetti chi ha applicato il Revenue management nella propria struttura alberghiera ne ha tratto benefici. Eppure questo modo di impostare la conduzione economica di un’azienda stenta a farsi largo. Perché? Ci sono diversi fattori che concorrono a ostacolarne lo sviluppo. Oltre alla logica – per la verità un po’ superficiale – di rientrare nei costi semplicemente alzando il prezzo delle camere, in genere si pensa all’albergo come a un bene immobiliare più che a una macchina che, se messe bene a punto, può garantire prestazioni eccellenti. Ci si accontenta, in parole povere. Ragionare in questo modo sui costi, significa perdere di vista la realtà, ossia il mercato: è lui che decide i prezzi, non il contrario.
Occorre dunque adeguarsi al mercato. Il ragionamento è semplice, eppure non viene messo in pratica. Ad esempio voi aumentereste lo stipendio a un dipendente solo perché sostiene di avere un tenore di vita elevato? La risposta è scontata. Lo stesso fa il mercato (ossia la domanda da parte dei clienti): se la tariffa è elevata, la boccia. Senza possibilità d’appello.
Oltre alle resistenze di ordine culturale – ossia una concezione del management alberghiero obsoleta – bisogna superare quelle di natura psicologica. L’albergatore medio è quello che davanti alla proposta di applicare il RM, risponde sempre allo stesso modo e con convinzione: l’unico risultato che si ottiene è quello di vendere a prezzi più bassi, con il rischio che non si riesca a coprire i costi di gestione. O, peggio, che una politica di tariffe a prezzi stracciati (ma davvero le cose stanno cosi?) finiranno per riempire di gentaglia rinomate strutture alberghiere.
Rimuovere certe convinzioni, ben radicate non solo nella vecchia guardia, è il primo passo da compiere. Come? Rispondendo a tre quesiti.
1. Il prezzo condiziona la domanda?
Il primo quesito è dunque: il prezzo condiziona la domanda? La risposta è sì. La legge della domanda e dell’offerta vale per tutti, non fa eccezione per il settore alberghiero: se il prezzo di un bene o un servizio diminuisce, la domanda aumenta. Basta osservare la realtà: davanti a un’offerta speciale o ai saldi, scatta la corsa all’affare. Prezzi più bassi significa essere più appetibili per la clientela. Significa che quelle persone che mai si sarebbero sognata di andare in quella città o in quella struttura, ora ci faranno un pensierino. E magari anche nel periodo di bassa stagione.
Con il Revenue Management, è bene precisare, non si applicano sconti, ma tariffe giuste, già in partenza. E ciò non significa sempre prezzi bassi: può infatti accadere, in alta stagione, di strappare tariffe superiori rispetto a quelle che si praticavano abitualmente.
2. Prezzo e qualità vanno di pari passo?
Il secondo quesito: prezzo e qualità vanno di pari passo? Stavolta la risposta è no. Non è di certo la tariffa a determinare il livello di qualità di un albergo, né il parere (ovviamente di parte) del suo gestore: il verdetto lo emette il cliente. A prescindere dalla tariffa. A questo proposito è consigliabile rimuovere il concetto – antiquato e classista – secondo il quale prezzi bassi in bassa stagione (cioè secondo la logica del Revenue) porteranno una clientela di pari livello. Non è così.
Oggi – complice il web – il mercato è cambiato, tutti guardano alla convenienza, reclamano trasparenza e libertà di scelta e naturalmente un servizio adeguato. Ed è questo che bisogna dare al cliente, a prescindere dal fatto che vesta in modo elegante oppure casual.
La puzza sotto il naso nei confronti dei clienti che prenotano on line non premia. Oggi è questo il mercato: bisogna farsene una ragione. Basta dare un’occhiata ai ranking o ai social network di settore per afferrare il concetto: gli alberghi di lusso non sono mai ai primi posti. Vi siete chiesti il perché?
3. I costi fissi devono influenzare il prezzo di vendita?
Il terzo quesito: i costi fissi devono influenzare il prezzo di vendita? Secondo la logica corrente la risposta è sì. In realtà in questo modo si affronta la questione in maniera parziale. Non si è cioè compreso il vero rapporto tra costi e tariffa di vendita. Forse è più utile porsi un’altra domanda: meglio un prezzo più basso o una camera invenduta? Ecco, allora, che il discorso prende la piega giusta.
Ogni camera che non viene occupata non è semplicemente un’entrata mancata, bensì una perdita certa. Venderla a 50 euro anziché a 70 cambia molto, perché con quei 50 comunque si coprono abbondantemente i costi fissi della camera, oltre che quelli variabili. Non solo: c’è anche un minimo margine di guadagno. Eppure, nonostante l’evidenza dei numeri, farlo capire è dura!