I mercati emergenti aprono la strada alla globalizzazione, ma è questa la direzione vincente?
Agli inizi degli anni ’90 le popolazioni dell’Est e quelle dell’Ovest del Mondo erano in contatto ma sostanzialmente stavano per conto proprio, costituendo l’oriente e l’occidente del mondo. A distanza di 20 anni la tecnologia ha permesso una comunicazione sempre più consistente e costante, aumentando le possibilità di viaggio tra le diverse aree del Pianeta. Tutto il mondo è ora potenzialmente accessibile a tutti, e i motivi del viaggio sono i più svariati, come dimostrano i settori di mercato.
Nel corso della conferenza “International Hospitality Industry Investment“ tenutasi alla New York University è emerso che gli hoteliers, i più branded, delle aree più globalizzate del pianeta, manifestano il loro interesse (e le loro intenzioni) di espansione e sviluppo attraverso una vera e propria azione di globalizzazione dell’industria alberghiera.
Sulla scia della considerazione che quando si guarda al lasso di tempo con cui le cose sono accadute, pare quasi banale affermare che molto ancora dovrà succedere, è stato affermato che si possono vedere gli effetti benefici che il mercato del turismo ha portato per il genere umano: il flusso di persone che si muove per realizzare l’esperienza del viaggio permette e facilita la reciproca conoscenza, sia in termini culturali sia in termini interpersonali, riducendo di fatto anche il timore legato alla “perdita di contatto” tra le persone. Non ci sarebbe allora miglior industria che quella del turismo per aiutare la gente a conoscere altra gente, a non sentirsi sola, a muoversi e conoscere “nuovi mondi”.
Per questa ragione (ma anche per tante altre) molte compagnie puntano gli occhi sull’espansione internazionale. Ad esempio la linea guida cui Marriot International’s fa riferimento, è orientata allo sviluppo del proprio mercato in Paesi non-USA. Se si considera che solo negli Stati Uniti ci sono 5 milioni di camere d’albergo, e che il 70% di queste sono branded, nel mondo-oltre-gli-USA le camere sono invece 14 milioni, e solo il 50% di queste appartiene a marchi registrati. Il messaggio pare essere allora chiaro: c’è un vasto numero di Paesi che si presentano come un foglio di carta bianca e per i progetti delle grandi catene questo altro non é che una grande opportunità.
Nel corso della conferenza è stato affermato che in realtà l’industria alberghiera si trova ancora in uno stadio iniziale e, forse, molto ancora potrebbe accadere prima che questa tipologia di mercato possa diventare una vera e propria industria globale. Se, come ha affermato Alex Kyriakidis, presidente e managing director di Marriott per il Middle East e l’Africa, è vero che ci sono tantissime parti del mondo in cui tale industria non è ancora arrivata, è anche vero che molte catene americane si sono focalizzate verso Paesi non USA semplicemente perché le opportunità all’interno della propria Nazione sono limitate da elementi contingenti.
Catene come “Montage Hotels & Resorts” che appartengono al settore extra lusso con un valore medio per camera pari a 500$, riconoscono senza dubbio che sì, ci sono molte destinazioni in cui potrebbe sorgere un hotel, ma la verità è che tali location non supporterebbero adeguatamente la tipologia di proposta alberghiera, contrariamente a quanto potrebbe accadere per il mercato europeo. Christopher Cowdray, CEO di Dorchester Collection spiega che, mentre i brands puntano alla globalizzazione i proprietari degli hotels esprimono i propri dubbi: chi è promotore della qualità non è ancora veramente global.
È chiaro che per identificare le regioni più interessanti per realizzare un simile progetto di sviluppo globale c’è bisogno di idee e progetti chiari, di approfondite analisi e di tempo. In Cina ad esempio, contrariamente al recente rallentamento di crescita nel settore del real-estate dovuto alla regolamentazione governativa, per gli Hotels esiste un mercato più flessibile e aperto in grado di portare a termine progetti di realizzazione di nuove strutture. Il governo cinese è infatti orientato garantire che vi sia parità di condizioni con le catene nazionali.
Viene spontaneo chiedersi come si faccia, in un territorio vasto come la Cina, ad individuare quale sia il giusto brand, la giusta location ed il giusto patner locale. InterContinental risponde: con molta pazienza e molta ricerca. Keith Barr, CEO di Greater China per InterContinental Hotels Group, riporta che il lavoro implica la ricerca di tre, quattro o cinque diversi progetti su città delle quali non si è mai sentito parlare: si comincia redigendo reports di prodotto interno lordo delle 100 città cinesi più importanti, si valuta a che punto si trovano oggi e si ipotizza dove saranno in dieci anni.
Molte delle città cinesi hanno accesso a fondi nazionali, ma, va da sé che ciò non basta a far erigere un hotel InterContinental proprio lì. Barr afferma che i piani regolatori di sviluppo della città vengono fatti con molto anticipo e che ciascuna città ha già una mappa precisa di dove saranno dislocati uffici, hotel, negozi. Da un punto di vista strategico, questa organizzazione futurista alla Star War, certamente aiuta nella individuazione della location e nella scelta della città. Ciò che è importante è anche l’outbound travel dalla Cina ed è intuibile come l’incremento dei turisti cinesi che viaggiano fuori dal proprio Paese abbia un notevole impatto rispetto alla crescita che si ebbe con i giapponesi negli anni ‘80.
Qualche km più a ovest la realtà dell’India viene presentata da Manav Thadani, co-fondatore e direttore di SAMHI Hotels. Thadani sostiene che anche in un anno negativo, si pensa di aumentare l’occupazione. Certamente i prezzi scenderanno ma molti mercati vedranno una crescita nei prossimi 12 anni. L’India infatti è un mercato emergente a tutti gli effetti: secondo delle proiezioni, si stima che nel 2021 la nazione avrà bisogno di 180.000 camere per soddisfare le richieste, mente oggi il Paese ne offre 73.000.
Per comprendere la portata di questa prospettiva basti pensare che ci vorranno 25.5 miliardi di dollari di investimento nel settore hotellerie. Certamente la strada da percorrere è lunga prima di iniziare a preoccuparsi dell’oversupply. In India la terra può essere acquistata a basso costo, ma implica un ulteriore investimento per il cambiamento della zona circostante, meglio allora acquistare una terra già predisposta ad accogliere una struttura ricettiva. È possibile ottenere dei prestiti, ma i tassi sono molto alti, circa del 13%. Dall’altro lato i brand troveranno molti ingaggi, probabilmente su 100 di questi, solo 40 riusciranno ad aprire.
Spostando l’attenzione al sud America il mercato emergente brasiliano, una testimonianza dello status quo del mercato la offre Accor. Christian Karaoglanian, chief development officer di Accor afferma che la compagnia francese sta puntando ai mercati emergenti con più impegno rispetto al passato. La compagnia approdò in Brasile molto tempo fa (dopo 35 anni difficili ora arrivano i primi soddisfacenti risultati), quando ancora non esisteva la vasta rete di competitors che c’è ora.
Nuove edificazioni in Brasile sono difficili poiché molte regioni non sono ancora pronte per accogliere il mercato, inoltre resta difficile essere i primi a trovare una location appropriata e, soprattutto, in cima a questa sfida c’è la difficoltà nell’ottenimento dei permessi. Tuttavia le richieste ci sono e gli hoteliers sono stati capaci di capitalizzare con una forte crescita. Nel portfolio di Accor, nella città di San Paulo il prezzo delle camere va olter i 120$.
Nel continente africano lo sviluppo del mercato turistico in termini di hotel ha ottenuto buoni feedback nelle regini dove sono stati avviati dei business. Ad esempio, sempre Accor, afferma che in Marocco il potenziale è notevole sia per il mercato business sia per quello leisure. Un contributo in positivo lo si deve alla nascita della classe borghese assieme alla crescita interna dei collegamenti aerei. Marriot ad esempio ha hotels in tre Paesi africani ma conta di essere presente in 10 Stati entro il 2015.
La percezione locale è che l’hotel costituisca un loro bene, una risorsa sulla quale puntare, impegnandosi a gestire l’hotel al 100%. In questi termini significa che le opportunità delle grandi catene sono o saranno quelle del management. Pare proprio non ci siano limiti al mercato in questo difficile continente, persino in Nazioni con una evidente crisi politica, come l’Egitto, gli hotel non hanno chiuso, ma hanno solo diminuito le presenze.
Questi argomenti di “sviluppo” aprono nuovi interrogativi su contenuti e modalità di sviluppo turistico, pur appellandosi al beneficio per la razza umana di scambio e prossimità. A mio parere forniscono una visione dai toni troppo capitalistici e poco innovativi, in controtendenza rispetto alla sensibilità e all’attenzione umana che punta ad un senso più etico del viaggio, in cui si rivalorizzano la responsabilità ed il rispetto per nostro pianeta e per culture che lo caratterizzano in ogni suo dove.
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(L’articolo trae spunto dalla conferenza della NYU con il contributo di J.Q.Freed).
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