Travel Industry

Alitalia: compagnia di bandiera o al servizio del turismo e dell’occupazione?

Alcuni anni fa Alitalia realizzò un’azione di co-marketing con la Perugina: un velivolo della compagnia di bandiera fu ridipinto con il blu e le stelle argentate dell’incarto del noto cioccolatino e con la scritta “Baci dall’Italia”. L’immagine del nostro paese volava nei cieli ed atterrava negli aeroporti di tutto il mondo e l’effetto positivo si riverberava sul turismo verso l’Italia, sulla compagnia di “bandiera” e sulla pralina made in Italy (ma prodotta dalla società svizzera Nestlè che da molti anni è proprietaria della Perugina).

Abbiamo voluto richiamare questo episodio mentre si parla di tutelare l’italianità della nostra maggiore aviolinea, per rimarcare che il problema non è – come sembra ai più – quello dell’assetto proprietario, ma quello della corrispondenza tra l’immagine incorporata nel nome dell’azienda e le caratteristiche della “marca Italia” e cioè dell’idea che hanno all’estero del nostro paese. Da questo punto di vista, i Baci Perugina restano un prodotto italiano perché esprimono un’idea di dolcezza (come i nostri paesaggi e il nostro clima) di romanticismo (come la nostra alta moda, le canzoni italiane e l’Opera di Verdi e di Rossini), testimoniano un valore di artigianalità,tipicamente italiano nella composizione del prodotto e della sua confezione, con l’aggiunta di un po’ di letteratura in pillole stampata sulla fascetta di carta velina.

L’azienda multinazionale Nestlè, quando ha comprato la Perugina sapeva di poter sfruttare questi atout ai fini del suo business e non ha mai pensato di attenuare la caratterizzazione italiana del prodotto, non ha mai fatto riferimento alla bontà del “cioccolato svizzero” per esportare Baci Perugina in tutto il mondo.

Erano altri tempi? Per l’Alitalia certamente si, perché la nostra compagnia di bandiera, nonostante le crepe aziendali, sembrava ancora riflettere lo stile italiano e il carattere di un paese che si era risollevato economicamente ed era entrato nel club dei G7, diventato G8.

Ora, in tutto il mondo, Alitalia è considerata un cadavere ambulante (o meglio, volante): viene snobbata dai frequent flyers e non è utilizzata dai grandi TO che si servono di altri vettori di linea per la loro programmazione.

Alitalia è dunque in vendita, ma ha trovato un solo acquirente: il gruppo Air France – KLM che ha capitali, know how e relazioni economiche tali da poterla rilanciare e sviluppare. Come è avvenuto per la Perugina e per tante altre aziende del made in italy che sono state salvate da investitori internazionali. Il gruppo Air France – KLM non ha certamente interesse a sprecare il residuo valore di immagine della nostra compagnia di bandiera, né le quote di mercato e gli slot internazionali che ancora detiene.

Certo, il fatto di essere l’unico potenziale acquirente di Alitalia la rende più dura nella trattativa, al limite dell’arroganza, ma chi non farebbe lo stesso al suo posto, se deve trattare con un interlocutore con l’acqua alla gola (L’Alitalia ha ossigeno per poche settimane e la sua autonomia potrebbe ridursi ancora e all’improvviso. Una crisi di fiducia nei confronti della compagnia aerea vorrebbe dire un drastico calo nelle vendite di biglietti, mentre i creditori potrebbero chiudere i rubinetti. A quel punto la partita sarebbe finita…È in torto chi ritiene che l’Alitalia possa continuare ad arrancare fino all’autunno: il boom del petrolio e l’aumento dei tassi d’interesse stanno stringendo il cappio più rapidamente di quanto la compagnia prevedesse ancora fino a pochi mesi fa. Tratto da: L’espresso del 3 aprile 2008). Si dice che c’è il problema dei dipendenti “incolpevoli” e delle ricadute negative su Malpensa, ma perché il compratore dovrebbe accollarsi, oltre ai debiti passati, anche il peso dei troppi dipendenti o addirittura l’onere di un contratto antieconomico stipulato con l’aeroporto milanese che è un Hub solo sulla carta, come è dimostrato dal fatto di avere necessità di una moratoria di almeno tre anni per trovare un’altra compagnia aerea disposta ad utilizzarlo come scalo di scambio? (Sia detto solo di passaggio: quando l’aeroporto di Capodichino fu abbandonato “per dispetto” dall’Alitalia che non aveva potuto assumerne, tramite l’AdR di cui era partner finanziario, la gestione che era stata assegnata alla BAA, ci volle meno di un mese per trovare una soluzione alternativa!)

Torneremo su Malpensa, sul traffico aereo nel suo complesso e sul sistema aeroportuale italiano in relazione allo sviluppo del turismo in un prossimo articolo; ora ci preme fare alcune considerazioni sugli aspetti legati all’occupazione nell’attività turistiche che sono collegate con la vicenda Alitalia, con i suoi problemi, ma anche con le nuove opportunità che si possono aprire soprattutto in seguito alla liberalizzazione del traffico aereo tra l’Europa e gli Usa che è partito dal 30 marzo scorso (Open Skies tra l’Europa e il Nord America).

Il necessario ridimensionamento del personale direttamente impiegato in Alitalia infatti potrebbe essere compensato dal rilancio del traffico turistico da e verso l’Italia grazie alle “spalle forti” del gruppo Air France: KLM, che è la prima compagnia aerea del mondo per fatturato e per performance, oltre che da un ulteriore sviluppo delle compagnie low cost. Un crescita del turismo incoming, che inverta il declino degli ultimi anni, nonostante la crescita turistica di Roma e di poche altre destinazioni, potrebbe ingenerare un incremento dell’occupazione nelle attività turistiche dirette e nei settori collegati, a monte e a valle: trasposti, prodotti tipici, progettazione, costruzioni.

Bisogna tener conto, inoltre, di tutte le opportunità di lavoro che si possono creare se, in conseguenza dello sviluppo turistico e della valorizzazione dell’offerta territoriale, vengono realizzate nuove attività culturali, commerciali e di intrattenimento che, oltre all’utenza turistica, sono in grado di intercettare domande sempre più diffuse tra i residenti (soprattutto le popolazioni giovanili) e nuove esigenze di tempo libero “creativo” che incrementano gli spostamenti tra le aree metropolitane e lo stesso turismo di prossimità.
Per non parlare di viaggi all’interno allo spazio dell’euro che oggi, anche in conseguenza dei voli low cost e dell’alta velocità su ferro, si potrebbe considerare un turismo “domestico”.

Ma, per questo, motivo il nostro paese dovrà diventare un po’ più “europeo” anche nel campo del turismo, tenendo conto che il processo di globalizzazione ha modificato profondamente i flussi della mobilità internazionale e la geografia turistica del mondo.
Già oggi i viaggiatori dell’estremo oriente non si muovono tanto verso la “destinazione Italia” quanto verso la “destinazione Europa”, anche per le condizioni tecniche e logistiche del trasporto aereo e dei grandi hub internazionali di Parigi e Francoforte. Così, dopo essere stati per qualche giorno a Parigi o a Berlino, i turisti asiatici fanno anche una veloce puntata in Italia, nel tour classico Roma-Firenze-Venezia, per poi ritornare a Parigi o a Francoforte, fermarsi ancora un giorno e riprendere il viaggio di ritorno. Una situazione che non è stata “inventata” da Air France o da Lufthansa, che pure avevano le loro convenienze a sviluppare le gateways dei loro paesi, ma è stata determinata dalle politiche, anche turistiche, realizzate dai due paesi del Centroeuropa e favorita dalla miopia “storica” della nostra compagnia di bandiera che non ha saputo cogliere al volo le opportunità dei nuovi mercati, dall’incertezza delle politiche dei nostri governi (degli ultimi 15 anni) e dal pressappochismo dell’Enit. Oltre che dalla decisione di puntellare, oltre ogni convenienza economica e razionalità di sistema, l’aeroporto di Malpensa che si è dimostrato debole anche rispetto alla concorrenza degli altri scali del nord d’Italia, come Linate, ma soprattutto come Orio al Serio e Tessera di Venezia, per citare solo i più dinamici. Non è un caso che, subito dopo l’annuncio dell’assegnazione a Milano dell’Expo del 2015 in borsa vi sono state forti fibrillazioni positive per le azioni di moltissime aziende del nord interessate all’evento e, tra queste, una vivace performance si è registrata per la Save (la società di gestione dell’aeroporto di Venezia), mentre la SEA che, oltre a Linate gestisce Malpensa, è rimasta al palo. A guardare, rosicare e recriminare.

Speriamo che, alla fine, anche la SEA, il Comune di Milano e la Regione Lombardia, invece di chiedere protezioni e sostegni, si rimbocchino le maniche per lanciare Milano come “destinazione turistica” (al di là dei viaggi d’affari e per fare shopping) come ha saputo fare molto bene Torino dopo il declino industriale–manufatturierio che la aveva investita nel decennio scorso.

di Giuliano Faggiani
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Spunti per la discussione:

  1. Il turismo in Europa può essere oramai considerato turismo domestico?
  2. L’occupazione nel turismo significa solo lavorare negli alberghi, ristoranti e agenzie di viaggi?
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