Colloqui di lavoro, le domande da fare per assumere la persona giusta
Come si fa ad assumere la persona giusta? Non è facile dare una risposta certa. Ma fornendo strumenti efficaci a chi conduce un colloquio per l’assunzione sicuramente si riducono i margini di errore. Un metodo che dà ottimi riscontri è il “Competency Based Interview”, ossia un colloquio basato sulle competenze. Spesso, infatti, chi pone le domande durante un colloquio di lavoro commette errori grossolani: ad esempio giudica la persona in maniera soggettiva (simpatia, proprietà di linguaggio, dal colore dei calzini… ecc.), mentre un colloquio che va dritto al sodo, che indaga sulle reali competenze senza troppi fronzoli, che tasta le capacità di reagire di fronte a un imprevisto, può portare risultati oggettivamente vantaggiosi per l’azienda. Che così assume la persona di cui ha realmente bisogno. Questo articolo, partendo da un ipotetico colloquio di lavoro, sostanzialmente inconcludente, offre ampi spunti e idee per rivedere i propri schemi e procedere con metodologie più scientifiche ed efficaci.
Simulazione di colloquio di lavoro per stagista in Hotel
Intervistatore: Parlami di te.
Candidata: “Sto terminando un Master in Food & Beverage Management alla ABC Academy e sono alla ricerca di un’opportunità lavorativa che mi permetta di crescere dal punto di vista professionale e che sono convinta di trovare in una grande azienda come la vostra.”
I: Quali ritieni siano i tuoi punti di forza?
C: “Riconosco di essere una persona puntuale, organizzata, multitasking, socievole, con ottime capacità comunicative ed organizzative e quindi in grado di guidare gli altri.”
I: Quando hai capito di essere in grado di guidare gli altri?
C: “In realtà credo di averlo capito fin dalle scuole superiori perché mi sono sempre presa le responsabilità di fare da portavoce ai miei compagni fino ad assumere il ruolo di Rappresentante di Istituto. Inoltre ho organizzato eventi per il corpo studentesco e sono stata eletta presidente di un’associazione culturale “EFG” nella mia cittadina natale.”
I: Benissimo. Quale, invece, pensi sia il tuo punto debole?
C: “So che richiedo molto dai miei collaboratori, sono troppo attenta al dettaglio e la mia ricerca della perfezione potrebbe mettere troppa pressione a chi fa parte del mio team e qualcuno potrebbe non reggerla.”
I: Se dovessi immaginare un giorno della settimana che meglio ti rappresenta o che preferisci, quale sarebbe?
C: “Sicuramente il lunedì! Mi piace l’inizio della settimana perché è il momento in cui si riparte, è come l’alba di un nuovo giorno: si analizzano i risultati del periodo appena terminato e si perfeziona la pianificazione della settimana appena iniziata.”
I: Cosa fai nel tempo libero?
C: “Guardo poca tv, preferisco leggere e ascoltare podcast di approfondimento nelle discipline che più mi interessano. Attualmente sto seguendo un corso di inglese nel week end e uno di dizione il giovedì.”
I: Vedo che non sei di origini italiane, devo chiederti: dovrai assentarti per celebrare qualche particolare festività religiosa?
C: “Sono per metà di origini nordafricane, mio padre è egiziano, mentre mia madre è italiana. Io sono cattolica non praticante e non sento alcun obbligo che potrebbe portarmi ad assentarmi dal lavoro.”
I: Grazie, non ho altre domande. Piuttosto, hai tu qualche domanda per noi?
C: “Si, ho letto che di recente l’Azienda X ha acquistato il gruppo di cui fa parte questo hotel. Si prevede qualche cambio strutturale?”
I: La catena e quindi anche il nostro hotel continueranno ad operare nel rispetto della Mission iniziale e nei principi fondanti della Catena. C’è qualcosa di specifico che ti preoccupa?
C: “No, è che sono rimasta molto affascinata dalla filosofia aziendale che corrisponde proprio al mio modo di interpretare la vita lavorativa. Ecco, mi fa piacere essere stata rassicurata in tal senso. Grazie, non ho altre domande.”
I: Bene. Sarai contattata dall’ufficio HR entro due settimane per comunicarti l’esito della selezione.
Saluti.. saluti..
Voi assumereste questa candidata?
Beh, che ve ne sembra? La candidata si è comportata bene? L’ipotetico colloquio di lavoro qui descritto è più o meno quello sostenuto da molti candidati in hotel e in altri tipi di aziende. Sia in Italia che all’estero. Ma la mia domanda è: assumereste questa candidata?
Ovviamente vi dico la mia: la candidata si è preparata benissimo, ha visitato il sito dell’hotel e della catena e ne ha seguito le ultime notizie. Inoltre si capisce che ha studiato anche su siti di riferimento che preparano a sostenere colloqui di lavoro e si è ben allenata a rispondere a tutte le domande più ricorrenti.
In altre parole ha fatto i compiti a casa. E questo cosa ci comunica? Che la candidata è sicuramente motivata. Super, cos’altro? Che ha una buona capacità comunicativa e anche d’improvvisazione, poiché ha risposto senza esitazione anche a quelle domande che non si aspettava.
Presumiamo anche che sia giunta al colloquio con il giusto anticipo, vestita in modo consono e professionale. Ammettiamo, inoltre, che la candidata, tra tutte le persone esaminate, abbia fatto la migliore impressione.
Un errore non valutare le competenze
Premesso tutto questo, io, sulla base di quel colloquio, comunque non l’assumerei. E non per demeriti evidenziati, ma per i meriti non dimostrati. O meglio, a mio avviso la candidata non è stata messa in grado di mostrare il suo vero valore.
Ma di quale valore parliamo? Di quello aggiudicato in base alle sue competenze. Nelle risposte date non c’è traccia che ci permetta di dire che la candidata possieda o meno una data competenza. Sì, certo, le sono stati chiesti i suoi punti di forza, e allora? Chiunque può rispondere in quel modo.
Basta prepararsi come ha fatto lei e per questo le riconosciamo, come già detto, un certo grado di motivazione. Ma come si fa ad essere sicuri che la ragazza, ad esempio, sia realmente capace di “guidare gli altri” come sostiene?
Le è stato chiesto un esempio a supporto, è vero, ma la candidata ha parlato di quando faceva le superiori (forse un esempio troppo remoto per essere considerato valido), e di due cariche sostenute di cui non abbiamo certezza e che comunque, anche se realmente ricoperte, non dimostrano che una persona sia capace di guidare gli altri.
Quanti presidenti, direttori, responsabili incapaci ci sono al mondo?
Il problema nell’ipotetico colloquio non è la candidata, ma l’intervistatore. Le domande scelte e poste in quel modo possono fornire veramente poche e inutili informazioni. I punti di forza e di debolezza appartengono a quelle 10- 20 domande frequenti nei colloqui di lavoro che centinaia di siti di riferimento riportano e a cui preparano a rispondere nel modo migliore.
Domane inutili e inopportune
Quindi a che servono? A nulla… o soltanto a sentirsi dare le risposte che si vogliono ascoltare. In altre parole, è solo un modo professionale per prendersi in giro. Ma sicuramente le risposte ottenute non diranno niente sul reale livello delle competenze dei candidati.
Idem per le domande pseudo-psicologiche come quella sul giorno della settimana. Cosa potrebbe mai rispondere un candidato? La domenica? Certo che no, nessuno vuole passare per pigro. Il sabato? Un candidato non lo direbbe mai per il terrore di passare per festaiolo..! In tutti i casi la risposta sarà quella che ci si aspetta di sentire e quindi equivale a preziosi secondi persi e a fiato sprecato.
E le domande sul tempo libero, sulla religione, sulle origini? Sono inopportune, perché appartengono alla sfera del privato, e un candidato escluso potrebbe addirittura fare causa per discriminazione.
Gli esperti di Human Resources asseriscono che il candidato assunto, spesso, non sia il migliore, ma semplicemente quello che piace di più. Quello più simpatico, brillante, carino, che ha la padronanza di linguaggio. Ma se dovete assumere un cuoco, a che serve che sia carino, simpatico e comunicativamente brillante? Non è meglio assumerne uno timido, bruttino, noioso ma talentuoso e competente?
Come possiamo riconoscerlo? È possibile valutare il numero e grado di competenze in mezz’ora di colloquio? Se non fossi sicuro del contrario vi direi di no. Anzi aggiungerei che non basta una vita intera per conoscere se stessi, figuriamoci uno sconosciuto dopo mezz’ora.
Strumenti per individuare una candidato valido
Ma la realtà è diversa. Oggi ci sono strumenti che rendono il colloquio di lavoro un test scientifico e realmente capace di dare l’opportunità, a chi deve assumere, di riconoscere il candidato più valido per un determinato ruolo.
Il più efficace strumento in cui mi sono imbattuto si chiama Competency Based Interview (CBI), che tradotto letteralmente è il Colloquio Basato sulle Competenze. Il consiglio che mi sento di dare, soprattutto a chi assuma per conto dell’azienda per cui lavora, è quello di formarsi adeguatamente.
Ci vogliono almeno un corso dedicato, testi di approfondimento e mesi di allenamento. Non è affatto semplice padroneggiare lo strumento CBI, e non potrebbe essere altrimenti, visto che ha l’obiettivo di rendere il risultato di un colloquio tra due persone oggettivo come il risultato di un’equazione matematica.
Un metodo per fare assunzioni vantaggiose
I principi sono i seguenti: escludere qualsiasi giudizio soggettivo, del tipo: “ho scartato un candidato perché indossava calzini bianchi”. Oppure: “riesco a riconoscere un buon candidato dalla stretta di mano..” . Tali criteri di valutazione sono, appunto, soggettivi e, quindi, variano da un intervistatore all’altro.
Qui, invece, stiamo parlando di un metodo che, se applicato da 10 intervistatori diversi, darebbe 10 volte lo stesso risultato, ovvero l’assunzione oggettivamente più vantaggiosa per l’azienda.
Innanzitutto occorre individuare quali siano le competenze richieste dal ruolo che dovrà ricoprire il nuovo assunto. Ad esempio quali sono le competenze richieste per un cameriere? Dipende innanzitutto dall’azienda. Se il ristorante o l’Hotel è stagionale, il cameriere che si cerca dovrà essere “tecnicamente già pronto” perché non si avrà il tempo di formarlo.
Se lo stesso ristorante ha l’obiettivo urgente di alzare la spesa media per cliente, si dovrà cercare un cameriere che sia anche bravo a vendere e fare “upselling”..
Quindi per il cameriere in questione le competenze richieste potrebbero essere “tecnica”, “upselling” e “teamwork”. Per i ruoli operativi, infatti, ne bastano 3-4, mentre per i ruoli manageriali si può arrivare anche a 6-7.
Una volta scelte le competenze, esse andranno definite in base all’azienda, industria e mercato di riferimento. Si passerà, quindi, allo step “descrivere le competenze” .
Ad esempio “Tecnica” potrà essere così descritta: “il cameriere deve prestare interesse all’ospite con sollecitudine e discrezione, impegnandosi a interpretare e soddisfare i suoi bisogni e addirittura a superarne le aspettative”.
È un modo per dire che il cameriere ha la conoscenza tecnica adeguata e l’esperienza necessaria per offrire performance eccellenti, ma non solo, ha anche l’attitudine all’ascolto, sa interpretare il linguaggio non verbale, pone domane domande pertinenti etc. etc.
Meglio optare sempre per una definizione completa ma più semplice e comprensibile. Una volta descritte le competenze (meglio se insieme a più collaboratori) si passa alla ricerca dei possibili comportamenti che confermino il possesso di una singola competenza.
Il possesso della competenza “tecnica” può essere dimostrato, ad esempio, con 4-5 comportamenti, tra cui: “il cameriere si interessa attivamente all’ospite, pone domande opportune per soddisfarne i bisogni”; oppure con: “ha il controllo delle priorità da rispettare”.
Fare domande badando al sodo
E come si può essere sicuri che un candidato abbia realmente il controllo delle priorità da rispettare? Basta chiederglielo esplicitamente e senza preamboli, magari come in questa ipotetica conversazione con chi ci candida per un ruolo da cameriere:
I: Mi descriva, per cortesia, l’ultima volta in cui si è trovato a far fronte, in sala, a diverse richieste, imprevisti e/o sollecitazioni contemporaneamente e come le ha gestite
E, soprattutto, incalzando (senza arroganza!). Se il candidato esordisce: “si, ricordo che un paio di anni fa..” lo si interrompa educatamente: “mi perdoni se la interrompo, ma non ha un esempio più recente a cui far riferimento? Si prenda un attimo, se ne ha bisogno”.
C: “Si, la settimana scorsa, in effetti, un collega non è venuto a lavoro per motivi personali e a me è toccato occuparmi di più tavoli del solito. Ad un certo punto un cliente mi fa cenno di avvicinarmi, proprio mentre dalla cucina sento l’avviso che i piatti da servire ad un altro mio tavolo sono pronti, e all’entrata, vicina alla mia area, una coppia attende di essere accolta.”
I: E come ha reagito?
C: “Mi rivolgo al tavolo che mi reclamava e rassicuro con un cenno gli ospiti che indicavano la brocca d’acqua vuota, passo vicino alla coppia all’entrata e riferisco che in meno di 1 minuto sarebbero stati accomodati. Mentre mi reco in cucina passo accanto al mio commis, che sta rassettando un tavolo, e gli chiedo di portare l’acqua dove richiesta. Prelevo poi i piatti in cucina e li servo e, senza fretta e col sorriso, accolgo gli ospiti in attesa.”
Si può, anzi si deve incalzare il candidato, ma con rispetto e lasciandogli il tempo di rispondere (altrimenti diventa una “stress interview” con risultati opposti a quelli sperati):
“E come ha capito di aver compiuto le giuste decisioni?” e ancora: “Non ha messo in difficoltà il commis?”
Come ottenere risposte sincere
L’obiettivo è far parlare l’intervistato sinceramente per capire veramente chi si ha davanti, ma per farlo bisogna metterlo a suo agio, ponendo comunque domande rigide e incalzanti per dissuaderlo dal mentire.
Ci si riuscirà anche accogliendolo cordialmente, trattandolo in modo educato, senza frapporre scrivanie imponenti (magari sedendosi non di fronte ma sul lato attiguo) e anticipando quale sarà lo stile del colloquio.
Tutto quanto descritto, comunque, è solo un rapido tentativo di illustrare sia pure in minima parte uno strumento molto profondo e sfaccettato, a cui vanno aggiunti altri step importanti oltre a quelli descritti.
Ma il fine, qui, era di comunicare che esistono metodi validi per giudicare un candidato, evitando di cadere in balia dell’improvvisazione, che porterebbe a dare peso, nel migliore dei casi, al colore dei calzini..
Ma nel peggiore dei casi, mentre vi ritroverete a chiedere per la millesima volta: “dove ti vedi tra 5 anni?”, un giorno qualcuno potrebbe rispondervi: “se questo è il suo stile, sicuramente al suo posto”.