L’ennesimo autogol di cui il turismo italiano avrebbe fatto volentieri a meno
Ieri, dirigente statale; oggi, imprenditore nel settore turistico. Due vite completamente differenti: l’una, dietro ad una scrivania a interpretare leggi, applicare regolamenti e scrivere circolari; l’altra, a misurarsi con le difficoltà e le problematiche per svolgere un’attività complessa ma affascinante. Una premessa questa necessaria per consentire, a chi legge, di comprendere il perché di quanto mi accingo a raccontare quale testimonianza di un’evidente situazione di disagio che vive il nostro Paese. Un disagio che nasce, sempre più spesso, da una gestione della cosa pubblica in maniera incompetente e clientelare da parte dei burocrati di Stato.
Un paio di settimane fa ho contattato l’Ufficio per le Politiche del Turismo per avere informazioni circa i bandi di gara attuativi con cui devono essere stabilite le procedure per la presentazione delle domande per le cosiddette reti di impresa che dovrebbero sbloccare circa 8 milioni di euro. Al telefono, la funzionaria mi metteva al corrente che, a parte una prima bozza dei bandi, ben poco era stato messo in cantiere e che c’è il rischio concreto che tali risorse vadano perse se non saranno impegnate entro la fine dell’anno. Ma non solo, la stessa mi faceva notare che per il settore turistico a ballare sono molti altri denari bloccati, ormai, da mesi: trasferimenti alle Regioni per i progetti di eccellenza; fondi dell’Unione Europea; buoni vacanze; fondi per la sicurezza del turismo in montagna; fondi per la fondazione di studi universitari e di perfezionamento sul turismo e altro ancora.
Ma perché tutto questo? Situazione di stallo che nasce dalle scelte fatte dai burocrati di turno, all’indomani della decisione del governo Letta di trasferire le competenze del turismo dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri al Ministero dei Beni Culturali, dicastero affidato a Massimo Bray, cultore della cultura ma probabilmente digiuno della materia. In quasi cinque mesi la matassa s’è andata ingarbugliando sempre più.
Ad esempio, anziché sfruttare l’istituto dell’avvalimento per utilizzare il personale dell’Ufficio per le Politiche del Turismo per gestire adeguatamente la fase transitoria, senza provocare impasse alla cittadinanza, i dirigenti della Presidenza del Consiglio hanno preferito tagliare repentinamente il cordone ombelicale e mollare il tutto al MIBAC (acronimo del Ministero). E il Bray che fa? Si è affannato, nel frattempo, ad annunciare la presentazione a breve dell’ennesimo piano nazionale strategico per il turismo !!!
Strano, ma se la memoria non m’inganna a metà gennaio del 2012 l’allora Ministro Gnudi presentò in pompa magna proprio un piano nazionale strategico del turismo le cui linee guida sono state riproposte pari pari dal Bray, intervenendo in audizione davanti alla Commissione Attività produttive della Camera lo scorso 16 di ottobre.
L’attuale Ministro, tra l’altro, si è affrettato a giustificare l’impasse odierno riferendosi ad una struttura dimezzata dalla spending review e “bloccata da contenziosi interni”.
La mia interlocutrice, però, mi fa notare che non è proprio quella la verità. In realtà, è stata messa in atto una procedura ritenuta dai più illegittima, fatta di un DPCM, a cui si è data esecuzione senza la preventiva registrazione della Corte dei Conti (quindi inidoneo a produrre effetti giuridici) e di un Decreto Ministeriale con cui si intende istituire presso il MIBAC la Direzione Generale per le politiche del Turismo, violando così sia i dettami dell’art. 17 comma 4 bis della ex Lege 400/88 sia quelli dell’art. 2 comma 1 del Decreto Legislativo 165/2001 che prevedono, invece, un Decreto del Presidente della Repubblica per dare corso alla riorganizzazione di una struttura ministeriale.
Resto allibito e sconcertato. Non posso credere che un Ministro della Repubblica e alti dirigenti dello Stato commettano palesemente errori del genere. A farne le spese è sempre e solo il settore. Il turismo è importante per la crescita del Paese ma continua a pagare pegno al personaggio di turno prestato alla politica che si riempie la bocca con i buoni propositi ma le cui scelte finiscono con il produrre ulteriori gravi ripercussioni per gli operatori del settore e i cittadini utenti. L’ennesimo autogol di cui il turismo italiano avrebbe fatto volentieri a meno.