Quando gli albergatori vincono… perdendo
Sicuramente non voglio fare il Moreno Morelli o il Luca Abete della situazione, anche perché qui si parla di altro, non di certo di raggiri e regole calpestate. Ma sempre di più mi imbatto in casi particolari che lasciano l’amaro in bocca e molti soldi in meno nelle tasche di ignari albergatori. Mi riferisco alle pratiche di alcune OTA che, pur essendo evidentemente lecite, qualche dubbio lo fanno venire.
Ma partiamo dall’inizio:
Ogni albergatore oggi ha a che fare con diversi player utili (o meno) per vendere le proprie camere online. L’albergatore può utilizzare il proprio sito internet, purché sia esso ottimizzato sia in ottica di ricercabilità che di usabilità, così da riuscire a far compiere l’azione di prenotazione all’utente stesso, oppure utilizzare gli intermediari. Considerato l’aspetto online, prenderò in considerazione le OTA (Online Travel Agency).
Le OTA più note ad oggi le conosciamo tutti: Booking.com sul quale transitano la maggior parte degli utenti, ed Expedia. Expedia unitamente alla sua controllata Venere.com si attesta ad essere tra le più presenti sul Web, ovvero tra quelle che spendono maggior budget per commercializzare una struttura. Di OTA, ripeto, ne esistono davvero molte, ma sono primariamente queste due che generano maggior fatturato per un hotel.
La domanda è: in che modo operano per riuscire a generare vendite per gli hotel e, naturalmente, per loro?
Come tutti sappiamo utilizzano i propri portali all’interno dei quali sono inserite tutte le strutture ricettive ed extra-ricettive solitamente previa iscrizione (registrazione) di questi ultimi. Una volta terminato il processo di registrazione, si avvia la promo-commercializzazione della struttura. la promozione avviene, principalmente, attraverso due metodi:
– Posizionamento sui motori di ricerca con nome hotel + destinazione sui motori di ricerca
– Creando degli annunci adwords basati sul nome hotel e/o destinazione
Oggi, e sembra banale ormai dirlo, non è affatto difficile trovare nelle prime posizioni delle serp (Search Engine Result Page) o nei risultati a pagamento il proprio hotel promosso da Booking.com. Proprio quest’ultimo, tecnicamente, è molto attento a promuovere e commercializzare una struttura sul proprio portale, tanto da esser diventato un leader ovvero un sinonimo di garanzia e sicurezza, sbaragliando la concorrenza e disincentivandola ad uno scontro diretto. Attualmente è quindi netta la differenza tra OTA di serie A e OTA di serie B, cosicché per arrivare a primeggiare (che significa maggiori guadagni) e onde evitare di spendere centinaia di migliaia di euro in Ads, si tirano fuori dal cilindro idee geniali, almeno dal punto di vista di chi le propone e le applica.
Le “magie” di Davide per battere Golia
Considerata la minore capacità di spesa e di trust che le OTA hanno nei confronti di booking.com e quindi l’incapacità di poter competere con un colosso del genere, eccoci servita l’ultima trovata che tende a colmare quel “vuoto” lasciato dagli albergatori su Google, nella fattispecie sui risultati a pagamento.
Un caso che può aiutarci a comprendere il meccanismo è quello di H-Rez (o se volete anche http://www.hotel-rez.com/): per tentare di giocarsela con il forte brand di booking.com crea dei siti ad hoc con tanto di nome a dominio dedicato. Non fa una piega: tutto fila ed evidentemente le regole del gioco lo consentono.
Ma qui, tanto per usare una frase tanto amata da Antonio Lubrano (sì, quello di “Mi manda Lubrano”, la trasmissione televisiva dedicata a truffe e raggiri ai danni dei cittadini), la domanda sorge spontanea: l’albergatore lo sa che quei soldi avrebbe potuto tranquillamente guadagnarli direttamente? o ancora lo sa che esiste un sito parallelo al suo?
A mio avviso le cose stanno così. Ma non solo. Attraverso questo comunque scaltro meccanismo il brand di un hotel potrebbe subire qualche scossone. Secondo me certe azioni possono dirottare visibilità, traffico e ricavi altrove. Contemporaneamente la stessa brand reputation potrebbe risentirne.
Ora vi starete domandando: ma H-rez chi è?
H-rez.com o Hotel-rez.com, è una società che in piena autonomia promo-commercializza alcune strutture, di solito le più vendibili e appetibili sul mercato. E lo fanno egregiamente: creano infatti un sito a tutti gli effetti, di 7 pagine e tradotto in ben 12 lingue (un sito che per quanto essenziale spesso, dalla mia breve analisi, è di gran lunga migliore dei siti degli – forse -ignari albergatori che ancora pensano di poter stare online spendendo quattro soldi, ma questo è un altro discorso).
Ebbene: dov’è il problema? Alla fine proprio come booking.com cercano di vendere. Nessun problema, ma con l’appropriazione del brand dell’hotel, attraverso il nome a dominio, si crea quantomeno confusione. Ci si ritrova con siti doppione, ma in realtà uno solo è a tutti gli effetti quello ufficiale dell’hotel. Ma quel doppione intanto va alla grande. Anche perché l’utente medio il problema non se lo pone: il suo obiettivo è trovare un’offerta conveniente.
l’utente medio il problema non se lo pone: il suo obiettivo
è trovare un’offerta conveniente.
E cosa accade con le serp? A occhio e croce il nome della OTA non compare, ma si atterra su un sito a tutti gli effetti. Che però non è di proprietà dell’hotel. È una questione di URL se volgiamo.
Ma a chi giova tutto questo? L’albergatore qualche vantaggio comunque lo ottiene, ma secondo il mio modesto parere potrebbe ottenere di più. Che dire: chi si accontenta gode. E gode senz’altro chi ha avuto questa idea indubbiamente “brillante”, almeno dal proprio punto di vista: ha una URL dedicata unitamente ad un sito “ben fatto”, soddisfa meglio il Quality Score di Google Adwords quindi paga meno il CPC (Cost per Click): annunci di qualità superiore spesso comportano CPC inferiori. Ciò significa che probabilmente pagherà un importo minore per i clic in quanto la qualità degli annunci è maggiore.
Ma, tornando a H-rez.com (o hotel-rez.com), come possiamo inquadrarlo? Apparentemente è una directory (né più e né meno) di strutture ricettive, la quale crea siti internet attraverso una “controllata” che si chiama SHR (securehotelsreservations.com), utilizzata nel caso in cui il nome a dominio è composto da nome hotel + destinazione.com. Nel caso in cui il nome a dominio ha come estensione .h-rez.com i siti ritornano ad essere nuovamente firmati dall’omonima società.
Insomma: grazie alla “rete delle reti”, con l’ingegno e un pizzico di scaltrezza si può fare una pesca più che copiosa: gli albergatori che restano impigliati all’amo di certo non mancano. Fanno dunque bene i pescatori a gettare l’esca nel mare magnum del web.
A volte, però, sorge spontanea anche un’altra domanda: ma può Davide – così piccolo e forse ingenuo e indifeso rispetto a certi colossi – raggiungere risultati così eccellenti? Non è che in realtà può contare su un fratello maggiore che magari – che so – dà una mano nella gestione delle transazioni? Ebbene sì, siori e siore… trattasi di Expedia.
Davide, per quanto non abbia battuto Golia, ha sicuramente trovato una sorprendete e banale soluzione, aiutato dai suoi più stretti collaboratori… gli albergatori.
In fondo nel mare magnum del web c’è posto per tanti pescatori, di tutte le taglie: grandi, piccoli, ingenui, furbi e consenzienti.
Cosa Fare in questi casi?
Dalla mia esperienza come consulente, la prima cosa da fare sicuramente è analizzare il Brand dell’hotel, per capire chi (ma soprattutto in che modo) sono gli intermediari che influenzano il Brand, tendendo sempre presente queste paroline magiche: Visibilità, Traffico, Reputazione e Revenue, perché sono proprio queste le caratteristiche essenziali che vengono a mancare e, solitamente, purtroppo, non singolarmente.
Iniziare ad adottare alcune “sempilici” strategie di Brand Protection, ad esempio attraverso Google Adwords. Se solo si guardassero le statistiche ci si renderebbe conto di quante persone cercano unicamente il nome del tuo hotel e facendo una media approssimata per difetto anche capire quanti soldi sono stati “bruciati”, a fronte di un investimento veramente (ma veramente) irrisorio.
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