Hospitality Management

Lavorare nel Turismo

di Antonio Sereno

Il turismo offre sempre nuovi posti di lavoro e rappresenta, per l’Italia una notevole risorsa economica ed uno strumento di sviluppo sociale.
Gli alberghi forniscono ai clienti operatori informatici per l’utilizzo dei PC, esperti che possono indirizzare l’ ospite nell’acquisto di quanto di meglio offre la località, i “personal shopper”; molte strutture sono dotate di centri benessere presso i quali operano fisioterapisti, massaggiatori, estetisti ed esperti in discipline olistiche.
Una figura nuova è il “travel manager” che si occupa dell’organizzazione aziendale quale responsabile del controllo di gestione e leader del settore comunicazioni.
Il fiorire delle piccole e grandi catene alberghiere ha creato il “sales”? ed il “revenue manager”.
Il primo svolge quelle funzioni che nelle piccole aziende sono esercitate dal capo ricevimento o dal direttore, segue l’intero processo di vendita, dalle prime fasi di contatto con il cliente fino alle ultime di feedback e di “customer relationship”.
Il revenue manager determina la migliore tariffa applicabile nel periodo richiesto dal cliente ed ha come obiettivo principale il miglior tasso di occupazione possibile della struttura (yield factor).
Sull’interconnessione del turismo con gli eventi esterni opera l’ “event manager” che si interessa per il collegamento dell’ hotel con le manifestazioni fieristiche, sportive, i convegni e tutto ciò che costituisce motivazione per uno spostamento.
Si tratta di un panorama in continua evoluzione che si offre ai giovani in cerca di lavoro, problema molto sentito, in particolare nel Mezzogiorno e che sono spesso incerti sul settore nel quale impegnarsi e qualificarsi.
La qualificazione è un aspetto determinante delle attività turistiche: già molti anni fa l’ Harry’s Bar di Venezia richiedeva ai suoi camerieri un diploma di studio superiore, oltre alla conoscenza delle lingue straniere, considerato che il personale era a contatto con un pubblico di notevole spessore culturale e doveva quindi offrire la migliore immagine possibile del locale e del Paese.
Se ci si vuole accostare con successo all’immenso spazio turistico, si deve avere una preparazione di elevato livello e, se il mercato seleziona spietatamente le migliori risorse, la normativa non riesce a tenere il passo con questa realtà; quando esiste, appare assolutamente inadeguata.
La 135, del 29/3/2001, Legge quadro sul turismo, ha collegato le imprese alle professioni turistiche nell’ambito del “servizio industriale” o comunque commerciale, trascurando i fondamentali profili socio-culturali.
L’Art. 7, nel definire professioni turistiche, contiene una serie di incongruenze: induce a credere che la clientela sia costituita dai soli turisti, non tiene conto del fatto che il mercato comprende un’ampia gamma di servizi dei quali solo alcuni sono strettamente connessi al turismo in senso tecnico.
E’ vero che, invece, tutte le prestazioni sono rivolte alla generalità della società e ne beneficiano sia i turisti che i residenti.
In attuazione della legge 135, con DPCM 13 settembre 2002, è stato emanato l’Accordo fra Stato, Regioni e Province autonome sui principi per l’armonizzazione, la valorizzazione e lo sviluppo del sistema turistico.
Il DPCM considera unicamente l’ambito turistico nel quale l’attività viene svolta, ed ignora completamente gli aspetti strutturali delle professioni, consegnando alle Regioni la disciplina delle attività con una distorsione così evidente da indurre il Consiglio di Stato a disporre il parziale annullamento del decreto.
Il Consiglio ha sostenuto che il Governo non può ignorare la necessità di definire i requisiti e le modalità d’esercizio su tutto il territorio nazionale delle professioni turistiche e non può trascurare l’esigenza di dettare precisi criteri per l’espletamento degli esami di abilitazione.
E’ questa la portata notevolissima della pronuncia, recepita con DPR 27/4/2004, che impone al Governo di intervenire per regolamentare le professioni e dare dignità a tutti coloro che operano in questo campo.
Tale esigenza è stata rappresentata anche dal Parlamento Europeo nella Risoluzione sulle regolamentazioni di mercato (B5-0430, 043 e 0432/2003).
Dall’Unione Europea viene quindi l’input a regolare le attività professionali in ragione della loro specificità, con l’unico limite di non alterare la concorrenza nel mercato.
E’ molto singolare registrare che la necessità di una regolamentazione da parte dello Stato fu chiarissima all’inizio, quando il settore turistico non aveva l’importanza che ha oggi.
Il legislatore di fine Ottocento dimostrò un notevole acume nel disciplinare la prima professione, la guida: la legge 23/12/1888, convertita nel Testo Unico del 30/6/1889, n. 6144, pur includendo l’attività tra i mestieri girovaghi, la differenziava significativamente, disponendo che l’iscrizione al relativo registro e la conseguente autorizzazione potevano essere concesse a persone “riconosciute idonee, a parere di corpi o persone competenti, ad esercitarla utilmente”.
La successiva legislazione, a partire dal T.U.L.P.S. del 1926 e dal relativo Regolamento di esecuzione del 1929, riaffermava questa linea prevedendo un giudizio di idoneità tecnica quale condicio sine qua non per ottenere la licenza per l’attività di guida, interprete e corriere.
L’ironia della sorte ha voluto che, mentre si affermava la dimensione del settore turistico, il legislatore dimenticasse la visione iniziale.
Dobbiamo notare che la legge quadro sul turismo n. 217, del 1983, è stata molto più attenta rispetto alla legge del 2001.
Ha fornito, infatti, una definizione precisa di molte professioni turistiche ed ha accentuato il valore della preparazione richiesta per il loro esercizio.
Ciò che sembra essere sfuggito all’odierno legislatore è che le attività del campo turistico si qualificano come vere e proprie professioni: “attività di particolare rilevanza pubblica tale che la legge impone, per l’esercizio di essa, l’iscrizione in appositi Albi o elenchi tenuti dal rispettivo ente pubblico territoriale”.
E’ opportuno, quindi, regolare queste attività in nome della pubblica fede, della promozione del mercato, della conservazione del patrimonio culturale e della qualità del nostro turismo.
Come abbiamo già ricordato, la situazione è molto seria per l’eterogeneità di disciplina che si registra nella Unione Europea: in alcuni paesi di lingua tedesca il diploma di acconciatore unisex è titolo sufficiente per il successivo esercizio della guida turistica!
Confusione si registra, tuttavia, anche in Italia: l’ISTAT, nei codici di attività, inserisce tra le professioni dei servizi creativi, culturali e assimilati, le guide e gli accompagnatori urbani e li distingue arcaicamente in “cicerone”, “guida di città” e “guida di piazza”.
Poco prima, nello stesso elenco, tra le professioni tecniche del turismo sono indicati gli animatori, gli agenti di viaggio, i tecnici del turismo e della ristorazione, ma le guide sono confuse con gli accompagnatori specializzati (che non esistono), mentre le norme comunitarie prevedono la figura della “guida turistica specializzata” che non viene menzionata.
Questa confusione è il frutto della disattenzione del legislatore nazionale e della eterogeneità della normativa locale, quando esiste.
Solo quest’ anno la Sicilia ha varato una legge sulle attività professionali, solo alcune Regioni hanno disciplinato la figura del Direttore d’albergo.
Le Regioni fissano la soglia di accesso nella licenza elementare, mentre oggi si richiede al professionista almeno la laurea breve in turismo.
La formazione, negli anni passati, appariva piuttosto carente, essendo limitata alla fascia medio bassa: non si andava oltre il diploma di Istituto Professionale o Tecnico Alberghiero e quindi, nella Piramide di Jafari, l’Italia offriva solo personale non qualificato o solo in parte qualificato: non v’era il personale di supervisione e mancava totalmente il top management.
Alla formazione di alto livello hanno provveduto all’inizio soprattutto le scuole private e solo alle soglie del 2000 il sistema pubblico universitario si è aperto alle esigenze del turismo ed ha dato inizio ai corsi di laurea triennale utili per i top manager.
Oggi le Università offrono circa ottanta corsi di laurea che vanno dalle scienze turistiche, gestione dei beni territoriali, alle scienze psicologiche applicate al turismo, etc. etc.
Nonostante l’offerta così variegata, resta il problema: la metodologia utilizzata è interdisciplinare, laddove occorrerebbe abbracciare la multidisciplinarietà.
La necessità di regolare le professioni turistiche scaturisce anche dall’allargamento dei confini dell’Unione Europea.
Non è facile ricondurre ad un unico livello di buona qualità, quale può essere quello italiano, quello francese, quello spagnolo – Paesi nei quali vi è una normativa sulle professioni – i vari ordinamenti dei 27 Paesi.
Per attuare le norme europee il Governo ha emanato il Decreto Legislativo 2/5/1994, n. 319, e successivamente il D.P.R. 31/8/1999, n. 394, per la disciplina dell’immigrazione e, tuttavia, si registrano in Italia notevoli frizioni sulle procedure di riconoscimento delle attività professionali turistiche.
La Commissione della UE ha, pertanto, avviato una nuova procedura di infrazione,riaprendo il caso che, nel 1991, dette origine alla condanna dell’Italia per la restrizione alla circolazione delle guide turistiche straniere che accompagnavano i gruppi nei viaggi “inclusive tour”.
Fu quindi emanato il D.P.R. 13/12/1995, “Atto di indirizzo e coordinamento in materia di guide turistiche” con il quale veniva consentito ai gruppi di utilizzare la propria guida durante tutto il percorso del viaggio organizzato.
Fu, tuttavia, predisposto un elenco di 2540 “luoghi specifici” ove figurano la città di Venezia, i centri storici di trenta città (Roma, Firenze, Siena, Perugia) nonché chiese, musei, palazzi, siti archeologici e gallerie d’arte ove era obbligatorio il ricorso alla guida autorizzata dalla norma italiana.
La Corte decise di chiudere il caso.
La Commissione ha mutato avviso e ritiene che vi sia una eccessiva dilatazione del concetto di luogo specifico: fa osservare che appare eccessivo il numero di 2540 siti riservati alla visita delle guide specializzate.
Molti rilevano che la contestazione mossa all’Italia proviene dai Paesi di lingua tedesca, ove si registrano forti pressioni degli operatori che mirano a fare entrare in Italia i loro gruppi guidati da accompagnatori o da semplici dipendenti delle Agenzie di viaggio per motivi di mero lucro!
Va osservato, comunque, che nessuna norma, né statale né regionale, vieta l’accesso dei turisti alla città di Venezia, ai centri storici, ai musei ed agli stessi siti riservati; al contrario, vige, in Italia, il principio della libertà di accesso e fruibilità dell’intero patrimonio culturale.
Quella che sembra una restrizione altro non è che una misura dettata principalmente nell’interesse di chi voglia approfondire la visita utilizzando le conoscenze di un esperto.
Tuttavia, di fronte al nuovo regime di libera circolazione dei lavoratori all’interno della Unione europea e della direttiva Bolkestein sulla libertà di stabilimento ed esercizio delle attività professionali, non v’è dubbio che dovranno essere percorse nuove vie per la tutela dei professionisti italiani.
Si troveranno nella qualificazione e nella specializzazione gli strumenti utili per contrastare la concorrenza proveniente dall’apertura dei mercati; non appare certo più difendibile la posizione di privilegio determinata dall’elenco dei siti riservati alla visita con guide specializzate.
Le professioni turistiche dovranno trovare appoggio anche e soprattutto nel nuovo sistema scolastico e nelle lauree brevi che consentono già oggi una migliore e più specifica preparazione professionale.
Si potrebbe poi ipotizzare, soprattutto nell’ambito del Mezzogiorno, la possibilità di creare degli itinerari culturali dedicati ai vari settori e sub-settori in cui si articola il variegato mondo culturale: siti archeologici, castelli, chiese, centri storici, antiche vie della transumanza, non trascurando gli aspetti enogastronomici ed utilizzando anche le opportunità offerte dai Sistemi turistici locali che in molte Regioni sono già operanti ed offrono ulteriori possibilità di impiego di giovani qualificati che possono validamente contrastare l’offerta del professionista proveniente dall’estero.
Ovviamente ci dovrà essere il concreto contributo degli organi locali ai quali spetta la politica turistica soprattutto sul proprio territorio; dovrà trovarsi una corretta sinergia tra Comune, Provincia e Regione e tra le stesse Regioni per promuovere queste nuove e consistenti motivazioni turistiche e proteggere, in un certo qual modo, i professionisti italiani.
Oggi abbiamo buone prospettive in tal senso con l’insediamento dei nuovi organi di gestione del turismo che vedono al vertice una cabina di regia nella quale sono presenti tutte le forze interessate alla promozione, la nuova Agenzia e la collocazione del settore presso la presidenza del Consiglio dei Ministri, ove trova la struttura politica più utile per l’attività di coordinamento e propulsione.
Dalla molteplicità delle attività che si sviluppano nel campo turistico e dal loro continuo incremento, dovrebbe scaturire automatica la regolamentazione precisa e puntuale, per chiarezza di mercato e per dare al turismo italiano un forte segnale di qualificazione.
In un regime di prezzi elevati, qual è quello del nostro Paese, la concorrenza straniera si può contrastare unicamente attraverso la qualità dei servizi e la preparazione degli addetti; due aspetti irrinunciabili se vogliamo promuovere il turismo.

Antonio Sereno
Articolo pubblicato su E.N.I.T. ITALIA N. 25 2007