Il lusso in Hotel e i veri bisogni degli ospiti
L’ultima volta che ho dormito in hotel è stato lo scorso febbraio.
Mi trovavo a Milano per la BIT (e il Covid stava per farci conoscere la sua subdola strategia di conquista).
In una settimana ho soggiornato in quattro posti diversi: casa di amici, Ostello Bello, Hotel a 5 stelle di una grande catena e poi, di ritorno a Roma, Hotel Color.
A casa di amici mi sento in un nido.
All’Ostello Bello torno teenager e trascorro una serata molto divertente.
E poi, la sera prima della mia presentazione alla BIT, nell’hotel a 5 stelle (no, non vi dirò quale), ho diverse sorprese.
La prima bellissima: incontro un ex allievo al Front Office: non avrei potuto sperare in un’accoglienza migliore!
Poi, in generale, trovo l’ambiente molto elegante, glam e moderno al punto giusto, il personale gentile, professionale e riservato, come ci si aspetta da un grande hotel di un noto brand.
In camera, dopo la doccia, cena e tg, entro in modalità super mega relax e, in via eccezionale, ingurgito un po’ di chimica per far andare via l’ultima briciola di tensione.
A volte basta un po’ di Xanax, altre volte un po’ di pazienza
La mattina dopo, infatti, avrei dovuto parlare a una platea di curiosi ma anche di tecnici e professionisti dell’ospitalità per dimostrare l’inopportunità dello Yield applicato alla ristorazione, in controtendenza alla posizione dell’hotellerie oggi. (Qui alcune idee “importate” dall’estero).
In altre parole, gli impegni del mattino seguente non sarebbero stati una passeggiata e avevo bisogno di arrivarci riposato.
Il mezzo Xanax combinato a Netflix fa il suo dovere e in mezz’ora sono pronto per dormire.
Risistemo il letto ma non trovo cuscini sottili (che preferisco).
Mi alzo per guardare nell’armadio ma ne trovo solo altri delle stesse grosse dimensioni.
Ok, pazienza. “Dormirò senza cuscini”, mi dico.
Mi ri-sdraio, ma avverto troppo caldo.
Rimuovo l’ultima coperta che avevo lasciato, ma non basta.
Comfort obbligatorio
Provo a spegnere l’aria calda ma non ci riesco.
Così chiamo la reception e mi dicono che non è possibile perché il sistema è centralizzato per lasciare sempre un po’ d’aria calda di “cortesia”.
Così anche dopo averne ridotto l’intensità al minimo, mi ritrovo a sudare nonostante fosse pieno inverno.
Infine, mi arrendo e resto in mutande.
Ci rimetto un po’ a raggiungere lo stesso torpore mentale e ad alleviare quello fisico ma a una certa ora, dopo altra tv, la stanchezza e i 12,5 milligrammi di stupefacente mi cappottano quasi del tutto.
Così mentre con la mente plano verso la mia fantastica isola immaginaria, spengo la luce a tentoni.
Purtroppo, mi accorgo che molta altra luce entra dalle finestre, posizionate vicino a un lampione del giardino sottostante.
Così mi rialzo, manovro con le tende tirandole il più possibile e fermandone i bordi laterali come posso.
Una nuova avventura
Ma c’è poco da fare: avrei dovuto rinunciare alla modalità “buio totale” che preferisco.
Risultato: dormo poco e male al modico prezzo di 300 euro. (E meno male che non pagavo…).
L’indomani, per fortuna, adrenalina ed eccitazione aiutano più dei caffè e, nonostante la notte agitata, la presentazione risulterà convincente.
Prendo poi il treno e scendo a Roma, dove la mattina successiva mi aspettava un seminario di 8 ore rivolto a una classe di ristoratori, (giustamente) nervosi e incazzati come bisce per via dei bilanci in rosso, ulteriormente spaventati dalla pandemia alle porte e in attesa della mia lezione per capire cosa fare. (Qui trovi un approfondimento sulla ristorazione alberghiera).
Avendo già proposto il seminario da diversi anni, mi aspettavo la solita platea di interessantissimi pirati, armati fino ai denti che non mi avrebbero dato tregua nemmeno durante la pausa caffè…
Mi aspettava, dunque, una giornata forse ancora più delicata della precedente.
E quindi uscimmo a riveder le (due) stelle
Avevo chiesto alla UET (l’istituto ospitante) di indicarmi un hotel nelle vicinanze e così la sera prima, per risparmiare tempo, anziché a casa arrivo all’hotel Color, 2 stelle.
Così, faccio il segno della croce, le corna, tocco ferro, tocco legno, e completo tutti i rituali esoterici che conosco e penso: “se nel 5 stelle ho dormito due ore, con una media dunque di 24 minuti a stella, nel 2 stelle quanto dormo?”
Rassegnato, rinuncio persino allo Xanax (al quale preferisco non abituarmi) e mi affido solo alla stanchezza accumulata.
Ma, seppur la camera e l’hotel fossero lontani dall’eleganza e dalla modernità dell’hotel di lusso della sera prima:
A: trovo due paia di cuscini, uno grosso e uno sottile;
B: ho la possibilità di spegnere completamente il termosifone (oldschool);
C: al posto di tende trovo tapparelle che posso abbassare e ricreare quell’effetto “loculo” che a noi vampiri piace tanto.
Morale della storia
Risultato: dormo bene come un demone bambino e al prezzo, veramente modico, di 40 euro (!)…
Morale della storia:
che si tratti di hotel di lusso o di bed and breakfast, il soddisfacimento dei bisogni essenziali dovrebbe avere la precedenza su tutto il resto.
Gli hotel reinvestono molto nei propri servizi ma spesso perdono di vista le cose più importanti.
A me, come credo alla maggior parte della gente, la scelta di sali da bagno, lo smart mirror, il robot in corridoio interessano fino a un certo punto e non aiutano a mantenere la promessa di farmi sentire “a casa lontano da casa”.
Credo che si possano pure apprezzare tutti i servizi e le amenity extra, ma solo dopo che siano stati assicurati i bisogni necessari:
- igiene e sicurezza,
- bagno funzionale,
- l’opportunità di poter ordinare da mangiare a qualsiasi ora,
- e… tutto ciò che possa assicurare un’alta qualità del sonno.
I pericoli del successo
Negli anni ‘90 la catena Westin investe decine di milioni di dollari in materassi per ricreare il “letto paradisiaco” (Heavenly bed).
Le altre catene, anziché imitarlo, criticarono il proprietario che avevano già soprannominato da tempo “il ragazzo con lo zaino”, perché giovane, hippie (molto ricco) e perché stava creando l’impero Starwood.
Essendo dunque molto temuto, ne andava sminuita la lungimiranza.
Fatto sta che in molti hanno trascurato la mutazione dei veri bisogni degli ospiti, forse perché appagati dal successo raggiunto.
E se la proprietà non ci arriva, forse i GM dovrebbero dormire più spesso negli hotel che dirigono.
Steve Jobs una volta disse che probabilmente i manager e proprietari della Gilette non usavano i loro prodotti, altrimenti si sarebbero accorti che la bomboletta della schiuma da barba si arrugginiva dopo un solo giorno.
L’esempio di Steve Jobs
Lo stesso Jobs che, stanco di dover leggere manuali di centinaia di pagine per cellulari di plastica con troppi pulsanti, creò l’I Phone, senza manuale, in titanio e con un solo pulsante.
E con le performance di un personal computer e di una fotocamera semi professionale. Mancava solo che facesse il caffè.
Non possiamo diventare Steve Jobs, ma possiamo prendere esempio da chi, come lui, è andato oltre le basi del marketing elevandosi da imprenditore a consumatore ideale.
E così bisogna rimettere tutto in discussione, anche le proprie eccellenze.
Perché, senza accorgersene, cambia la percezione di cosa sia l’eccellenza.
Quando l’ovvio non è più ovvio
Ad esempio, oggi il management più avveduto si chiede: basta la pulizia in hotel?
E si risponde NO!
La pulizia, infatti, oltre che essere sempre assicurata deve anche essere resa evidente!
Così, molti grandi brand stanno rimuovendo moquette colorate per lasciare pavimenti in parquet.
Sostituiscono piumoni e bedding colorati con altri unicamente bianchi.
Ridipingono di bianco le pareti.
Tutto affinché, anziché coprire lo sporco, si esalti la pulizia e il cliente ne abbia evidenza.
Iniziano a sparire anche le tende che, oltre a essere inutili, rischiano di diventare ricettacoli di batteri.
Alcuni brand, mettendo in discussione i veri bisogni degli ospiti, si sono accorti che in pochi usano l’armadio.
E in pochissimi la scrivania.
Così ridisegnano le camere non più limitate da tv a tubo catodico, scrivanie, poltrone e armadi ingombranti, ricavando spazio prezioso, ad esempio, per vere cabine armadio (queste si, molto gradite), smart sitting e bagni più grandi.
Dalla colazione top al bagno stile Spa
Tempo fa, parlando con un manager di Booking.com, scoprii che le foto capaci di generare più prenotazioni fossero quelle relative alla camera e al buffet colazione.
E che invece quelle che contavano di meno fossero quelle del bagno.
Ora, invece, scopro che da qualche anno la foto che potrebbe fare la differenza è proprio quella del bagno in camera, nel momento in cui diventi un bagno stile spa, con vasca di design, vista sulla città, illuminata da luce del sole ed enorme.
Perché? Perché a tutti piace fare in hotel quello che non facciamo a casa e quindi la colazione a letto, il bagno in vasca con in mano un cocktail Martini e tutti quei bisogni-coccole che fanno diventare l’uso di una camera d’hotel, “esperienza”.
Ma il soggiorno diventa piacevole e/o indimenticabile “esperienza” se, prima delle coccole, vengono soddisfatti i bisogni essenziali.
A tale proposito, mi torna sempre in mente un’intervista di qualche anno fa al maestro Cipriani che, a esplicita domanda, rispose candidamente: “Per me il lusso in hotel non è il quadro d’autore appeso alla parete di fronte al letto, ma piuttosto un cuscino soffice e lenzuola croccanti”.