Hospitality

L’ospitalità italiana in cerca di un global brand

L’ospitalità italiana? Ammettiamolo: si può fare di più.

L’Italia e il made in Italy è in tutti i ranking che contano, anche turistici, ma primeggia solo per cultural influence.

Secondo il Best Country Index (2019) di BAV Group and The Wharton School of the University of Pennsylvania, l’Italia è una meta soprattutto culturale (prima posizione).

Globalmente, però, nel Best Country Overall, occupa solo la 18esima posizione, perdendo tre posizioni rispetto all’anno precedente.

E ancora, secondo il Country Brand Ranking Tourism, misurato su 5 obiettivi (attrattività degli investimenti, domanda turistica, attrattività dei talenti, diplomazia pubblica ed export) della Bloom Consulting (2018) l’Italia occupa la 10° nel Country Brand Ranking global e 5° nel ranking EU, scavalcata da UK nell’ultimo anno (2018).

I top products che “aiutano” il brand Italia

Anche i nostri top products aiutano nella costruzione del marchio Italia e nella sua reputazione più che positiva.

Gucci e Prada tra i nostri top brand più riconosciuti al mondo, secondo Interbrand.

E ancora: Ferrari, Ferrero, Parmigiano Reggiano solo per citarne alcuni che in Europa portano il nostro Paese ad essere considerata una meta d’eccellenza e di qualità.

Un patrimonio di valori materiali e immateriali che ci consentono, comunque, di vivere di rendita.

Nonostante non ci sia, di fatto, nessuna strategia comunicativa e di posizionamento organizzata tra Paese e Regioni, tra Regioni e Comuni, Comuni e territori. Se non in rarissimi e sporadici casi.

(A tal proposito può essere utile leggere questo articolo sul turismo italiano e la necessità di migliorare le competenze degli operatori del settore).

Alla BIT di Milano un’analisi approfondita dell’ospitalità italiana

Ma alla recente edizione della BIT di Milano, approfittando dello spazio di riflessione di FormazioneTurismo.com, non abbiamo voluto soffermarci sulle ben note criticità.

Abbiamo piuttosto cercato i parallelismi tra brand e non brand di destinazione e nell’hotellerie. Mettendo in evidenza il metodo e i principi del brand marketing.

A raccontare cosa rende oggi riconoscibile, desiderabile ed attuale un brand, Giovanna Manzi, AD di Best Western Italia Hotels & Resorts, Pietro Paduano, Managing Director di Ogilvy e Ogilvy Consulting Italia e Martin Bertagnolli, Brand manager del marchio Südtirol.

Nell’hospitality le cose vanno un po’ diversamente.

L’Italia, di fatto, per quanto ben identificata nei suoi valori tra arte, fashion e buon cibo, non ha un proprio brand di catena alberghiera esportato e riconosciuto nel mondo.

La debolezza dell’hotellerie italiana

Nella classifica delle catene più grandi al mondo dominata da Marriott International, Hilton e IHG, secondo l’ultimo rapporto Horwathhtl, il Made in Italy compare in posizione 254° e 295°, rispettivamente con Atahotels e Starhotelsnel brand index globale, entrambi in perdita di 27 punti il primo e di 7 punti il secondo nel 2017, rispetto al 2016.

Questo significa che nella classifica sono entrati nuovi brand di catena. Mentre i grandi colossi sono in espansione sul portfolio camere.

Non solo. L’hotellerie italiana è di per sé già debole nel branding turistico. E in Europa rappresenta una anomalia, con un 14% di camere appartenenti a un brand di catena (155 mila circa), contro il 48% della Francia, il 49% dell’Inghilterra e il 56% della Spagna.

La gestione familiare: un valore aggiunto o un freno?

Per alcuni il carattere indipendente e famigliare dei nostri hotel è il vero valore aggiunto dell’Italia.

Personalmente credo che questo alla lunga abbia portato a poca innovazione di prodotto, scarsa competitività nei mercati, meno potere di contrattazione.

Oltre a maggiore dipendenza dagli intermediari, più vulnerabilità dalle condizioni di mercato.

E, non in ultimo, non consenta di fatto di misurare il ritorno di un qualsiasi tentativo di promozione territoriale o di plasmarlo secondo le necessità reali del mercato.

Sì, certo… ci sono sempre le associazioni territoriali. Ma credo molto di più nel privato che lavora con il turista, con il suo rischio d’impresa.

Ha il polso della situazione e, tecnicamente, tutti i tools per produrre e mettere insieme dei dati e reagire in tempi utili.

Voi a questo punto penserete: scarsa penetrazione dei brand di catena, quindi di fatto abbiamo pochi brand nell’hotellerie?

L’anomalia: per numero di marchi l’ospitalità italiana seconda in Europa

E invece no! Ecco ancora un’altra anomalia, in Europa.

Se contiamo il numero di marchi nell’hospitality, senza guardare al totale camere e strutture inglobate, siamo secondi solo a Spagna per brand alberghieri in EU.

Abbiamo ben 227 brands. Tutti piccoli concepts anche di 2 o tre piccoli hotel accorpati. Di fatto, non creano massa, non hanno distribuzione e fanno davvero fatica ad essere ricordati.

È sempre bello guardare ai numeri italiani.

Ma è un po’ come guardare la Gioconda di Leonardo da Vinci: non si capisce bene se dietro quel suo aspetto austero si nasconda in realtà una burlona.

Dovendo cercare una sintesi fino a questo momento, noi sappiamo che l’Italia è un brand che ci siamo trovati in eredità.

E, per quanto ci impegniamo a confondere le idee, resta nei ranking che contano.

L’ospitalità italiana non ha un suo brand, ma le cose stanno cambiando

Nell’hotellerie invece non esiste un brand di ospitalità riconosciuto nel mondo e anche la presenza delle catene nel Belpaese è limitata sia per capienza che per riconoscibilità.

Ma i venti stanno cambiando e questo porta a delle nuove opportunità.

Innanzitutto, gli investimenti di catena, grazie alla più che positiva crescita del turismo inbound (quello più abituato ai brand di catena) degli ultimi anni nel nostro Paese, sono diverse le catene che stanno investendo, spinte da un certo ottimismo.

Nel 2018, sempre secondo l’ultimo rapporto HorwathInt presentato a Milano, il numero di camere branded è salito a 172mila (+4,7% YOY).

Ed è destinato a raggiungere 190 mila nel prossimo biennio secondo le stime.

Giovanna Manzi di Best Western Hotels & Resorts, primo brand di catena per dimensioni in Italia (10° al mondo), conferma il trend positivo, con una chiusura di +90 contratti solo nel 2018.

I brand di catena attenti alle esigenze dei consumatori

Per Giovanna, i brand che hanno investito nel tempo oggi sono più forti che mai.

“Quando 15 anni fa mi dicevano che la reputazione avrebbe comunque compromesso i brand più forti e che i social media avrebbero messo tutti sullo stesso piano – ha spiegato la manager – avevo i miei dubbi.

Così non è stato: oggi il brand è più vivo che mai. Così come il dare continuità ad una mission diventa un elemento distintivo.

Chiaramente il prodotto deve costantemente evolversi secondo le esigenze dei consumatori”, ha aggiunto Manzi.

Che ha poi raccontato anche le nuove linee di prodotto della BW (13 marchi) dove design ed experience giocano un ruolo fondamentale.

Chiaramente tutti gli sforzi di promozione in Italia one to all sono concentrati sul brand madre, BW e da qui “su un secondo livello vengono poi declinate le linee di prodotto”.

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L’Italia nel mirino dei grandi marchi internazionali

Questo anche considerato la competizione con altri forti marchi dell’Hotellerie internazionale.

È il caso di Hilton, Holiday Inn, Ibis e NH che in Italia potrebbero trovare terreno fertile per espandersi nei prossimi 12 mesi.

Nel “top of mind” degli italiani Hilton, ad esempio, è il brand di catena più ricorrente.

Anche se rimane per molti italiani semplicemente un brand noto, ovvero tutti lo conoscono ma in pochi ci hanno mai soggiornato.

“Siamo primi per distribuzione e per vari indici come quello di efficienza, comfort e accessibilità – ha aggiunto Manzi – se anche non ricorriamo immediatamente nella testa dei viaggiatori italiani, comunque è molto più probabile che soggiornino da noi, piuttosto che in una qualsiasi altra catena. Abbiamo infatti una distribuzione capillare”.

Il futuro per BW? Migliorare l’aspetto “coolness” dei propri ambienti, su cui si può “certamente fare di più”.

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Le destinazioni: regioni in ritardo sui brand

Sul fronte destinazioni, invece, mi sono chiesta: cosa esiste dopo l’Italia?

Ovvero se noi chiedessimo a un australiano, a un giapponese, a un coreano, un inglese, un azero, un turco… un qualsiasi abitante di questo pianeta, mai stato in Italia, su quale meta italiana si è costruito eventuali castelli, che cosa conosce o riconosce, cosa ci sarebbe sotto Italia?

Probabilmente le top cities, Roma, Venezia, Milano e Firenze. (Le ultime tre sono interscambiabili a seconda del Paese a cui si chiede, Roma invece è sempre una certezza).

Mentre a livello regionale, forse qualche chance di brand ricorrente ce l’ha la Toscana.

Insomma, non ho trovato regional global brand o city global brand. (Il progetto Bologna City Branding può rappresentare un’auspicabile inversione di tendenza).

Men che meno index di destinazioni prodotto (dove vado a fare una vacanza attiva? Dove una culturale? Dove un viaggio romantico?).

L’eccezione: l’esperienza vincente del brand dell’Alto Adige

Una risposta parziale su come misurare la riconoscibilità dei brand di destinazione e tutti gli sforzi in questo senso me l’ha data l’Alto Adige. Che con il suo brand, creato nel 1976 come marchio d’eccellenza delle produzioni locali, ragiona in ottica di prodotto da decenni.

In una recente rilevazione fatta dall’IDM Sudtirol, agenzia di marketing, innovazione e sviluppo, che gestisce il brand per conto della provincia autonoma di Bolzano, il proprio brand non primeggia come riconoscibilità visiva di marchio in nessun mercato, ma è piuttosto noto.

Il competitive set è stato fatto sui mercati di prossimità, di riferimento. E sui quali si sono svolte delle attività di marketing e comunicazione.

Insomma, ha poco senso campionare un abitante dell’Azerbaijan e pretendere che conosca il Sudtirolo, perché ha già le sue montagne e non è un target.

Le destinazioni e i mercati di riferimento

Diversamente dalle catene alberghiere, che hanno un marchio più spendibile globalmente che arriva ai consumatori direttamente in casa, le destinazioni devono declinare il proprio brand mercato per mercato.

Capire chi si muove meglio rispetto ad un’altra destinazione che non sia simile o di prossimità è difficile, considerato che anche i numeri su presenze o arrivi ci dice poco perché ognuno ha i suoi obiettivi e limiti.

Sempre il Südtirol su questo dà una risposta. In un’altra rilevazione in cui chiede “Quale meta ti sembra più attraente” in una rosa di opzioni, tra cui anche la Toscana, i tedeschi rispondono che il Sudtirolo è più interessante per loro.

Quindi: rilevazioni ad hoc per ogni mercato, in un’ottica di contesto. Questo richiede molta analisi.

Come si costruisce il successo di una destinazione

Martin Bertagnolli ha spiegato che “per alcune cose speravamo di essere posizionati meglio rispetto ai competitor.

Ma ciò che a noi importa maggiormente è capire cosa si può migliorare.

In questo momento continua ad esserci confusione su Sudtirolo e Tirolo, in Austria.

Per molti sono la stessa cosa, per cui dobbiamo spiegare bene le differenze di prodotto. E, banalmente, la geografia.

In secondo luogo, stiamo cercando di capire se esistono dei brand di destinazione altoatesine che possano rafforzare il marchio e con cui lavorare ancora più in sinergia”.

Ciò che colpisce principalmente di questa destinazione – riconosciuta come “virtuosa” dagli addetti ai lavori – è questo costante confronto e identificazione tra territorio, prodotti d’eccellenza e brand (qui molto ben raccontato).

Oltre alla fedeltà ad una mission di base: preservare uno speciale spazio vitale, in un’ottica di avanguardia.

Prima della comunicazione viene il prodotto

Prima di tutto un prodotto riconosciuto e riconoscibile, costanti investimenti su questo. E poi, solo dopo, la comunicazione. E non viceversa.

Praticamente la promessa di valore si basa su capisaldi e risultati raggiunti, quando il turista arriva non può che trovare delle conferme.

Diversamente, molta comunicazione di destinazione oggi si basa su aspirazioni, progetti su carta, che rendono inefficace qualsiasi sforzo.

Passare dal prodotto al brand in 4 mosse

Ogilvy è una delle agenzie pubblicitarie più grandi al mondo. Che ha reso popolari numerosi marchi globalmente e ha come mission quella di “make brands matter”.

Per concludere, abbiamo chiesto a loro di darci qualche indicazione sul brand marketing. Che cosa consente il passaggio da semplice prodotto a brand? E cosa aiuta a renderlo memorabile nel tempo?

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Quattro punti:

1. Un approccio circolare

Si agisce per quarter e mensilmente per raggiungere obiettivi di lungo periodo (annuali, triennali, decennali).

E – in questo – le attività digital aiutano notevolmente perché consentono di ri-adattare le attività a seconda delle performance, sempre misurabili;

2. Personalizzare la comunicazione “at scale”

Cercare di parlare a specifiche persone in-target (le famose persona) ma su scala. Ovvero comunicazione 1:all con i giusti mezzi.

Molti, nell’hospitality, hanno frainteso la personalizzazione negli ultimi anni con un ritorno alla comunicazione 1:1 (per offrire servizi su misura). Che, oltre ad essere per nulla scalabile, è anche piuttosto dispendiosa;

3. Staying relevant

Ovvero investire costantemente per restare nella testa e cuore delle persone. Sono inutili delle azioni spot e scollegate tra di loro di promozione.

Nell’hospitality la promozione spesso viene confusa con la distribuzione, incluse tutte le metriche di rilevamento.

Se voglio puntare sul brand, acquisire valore immateriale nel tempo e dare valore al mio prodotto, non posso ragionare in ottica di commissione.

Se i grandi brand del travel avessero ragionato così nel posizionamento del proprio prodotto: ovvero spendo x solo se mi ritorna il 1000% di ROI e se spendo di più ritorno nel caro e conosciuto terreno della distribuzione perché mi “conviene di più”… beh, non sarebbero andati da nessuna parte.

Per questo, penso che l’approccio di catena sia l’unico possibile perché consente – tecnicamente – di gestire budget di marketing migliori di quelli di un hotel indipendente e crearsi un’indipendenza distributiva).

4. Digital Transformation

Abbracciare il digital e i suoi canali è l’unica condizione possibile oggi per fare brand marketing, nonostante il canale di maggiore esposizione resti la tv (che è anche quello con i costi d’accesso più alti).

La misurabilità delle performance è più semplice quando si ha una solida, organizzata, gestita e controllata presenza online.

I brand turistici italiani investono poco in brand marketing

Tutto semplice fin qui giusto? Beh, non proprio.

I brand turistici italiani investono poco in brand marketing, una slide condivisa da Ogilvy conferma.

Su 4.3 miliardi di spesa pubblicitaria in Italia da gennaio ad ottobre 2018, il turismo pesa il 3%. Ed è uno dei settori che investe di meno.

Questo spiega anche i dati iniziali (ricordate, oltre 200 brands di catena in Italia, ma nessun posizionamento di rilievo nei ranking globali ed Europei).

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Non solo. Nei top 100 brand Italia, gli unici italiani del turismo più memorabili degli altri sono: Frecciarossa (60), Alitalia (68), Italo (82).

Tutto il resto è estero, incluso booking.com, primo brand turistico per awareness in Italia.

Mancanza di budget, visione o semplicemente di…metodo? Attendo le vostre considerazioni sul tema.