Politiche di prezzo e Revpash: la difficile quadratura del cerchio
Una tra le più importanti leve del marketing della ristorazione – il prezzo (piatti o menù) – è molto spesso male impostata e ancor peggio utilizzata da molti ristoratori, vuoi perché non c’è ancora una diffusa competenza delle tecniche applicabili (il mark up e il moltiplicatore), vuoi perché molti seppur bravi operatori del settore spendono ancora poco e male il loro tempo nel definire il prezzo di vendita dei propri prodotti.
Questo è un limite che spesso, quasi sempre, si ritorce contro la stessa gestione. Ma senza che si sia consapevoli di ciò, poiché è impossibile misurare quanta attività potenziale è venuta a mancare a causa di una percezione negativa del rapporto prezzo/qualità da parte del cliente (a tal proposito, vedi il mio altro articolo su Prezzo e valore dell’offerta, sempre in questa sezione).
I “ragionieri” della ristorazione: bravi solo a cucinare
Nonostante i tanti anni di formazione e consulenza nel campo, capita ancora di incontrare qualcuno che mi dice che il prezzo lo stabilisce calcolando quanta roba mette nel piatto, poi aggiunge quanto lavoro serve ad elaborarlo, poi aggiunge …, oppure altri che moltiplicano per tre il costo del piatto e vendono al prezzo che ne viene.
Molti di questi “ragionieri” della ristorazione sono davvero competenti nel loro mestiere (cucinare) e quando mi fermo nei loro locali non trovo quasi mai motivo di insoddisfazione per qualcosa. Purtroppo per loro però, quale che sia dei due errati metodi che hanno adottato, questa tecnica nulla ha a che vedere con la gestione profittevole dell’attività benché, come in molti sappiamo, la percezione di chi gestisce è che le cose vadano, comunque, sempre bene.
Un buon prezzo richiama i clienti, ma non basta
Da un punto di vista strettamente economico, il prezzo esercita una funzione di richiamo per la quasi totalità dei clienti, nella quasi totalità delle situazioni della ristorazione commerciale. Ad un regime di prezzi accessibili, in presenza di un positivo rapporto prezzo/qualità, solitamente corrisponde una affluenza di clientela soddisfacente per la gestione e per la profittabilità del locale.
Dico “solitamente” perché è evidente che il prezzo molto può, ma non però tutto e pochi altri settori commerciali risentono così tanto, come la ristorazione, dello strettissimo legame di tutte le leve del marketing che tra loro sono interconnesse e al deficit di una corrisponde la debolezza delle altre, ovvero la forza di una potrebbe non essere supportata dalle altre e vanificare così l’intero processo di ottimizzazione dell’attività e fidelizzazione della clientela.
Quando il cliente è insoddisfatto
Facciamo due esempi per chiarire meglio quest’ultimo concetto. Nel primo, laddove il prezzo è male impostato rispetto al valore del prodotto ma il contesto è tutto sommato positivo (servizio, personale, ambientazione, ubicazione, pulizia, altro) siamo in una evidente situazione di complessiva insoddisfazione del cliente che in questo caso difficilmente si riesce a fidelizzare soprattutto se ha a disposizione alternative.
Nel secondo, dove il prezzo è equilibrato rispetto al prodotto, ma le restanti caratteristiche sono perdenti, siamo ugualmente in una situazione precaria poiché la clientela più esigente, più attenta ai dettagli e abituata a valutare nel complesso gli elementi positivi ma anche quelli negativi, può decidere di non ripetere più l’esperienza avendo magari a disposizione alternative più convincenti.
In altre parole, questi differenti scenari spiegano come le leve del marketing solo tutte insieme combinate possono influire positivamente o negativamente sui comportamenti di acquisto del consumatore cliente. Ma quale dovrebbe essere allora il prezzo “giusto” fatte salve tutte le altre caratteristiche che ipotizziamo come altrettanto vincenti? E qual è il rapporto tra politica di prezzo e Revpash?
I 4 fattori per stabilire il prezzo giusto
Per cominciare, il prezzo giusto è quello che tiene conto di alcuni fattori facilmente percepibili e in qualche maniera misurabili da parte del cliente e sono:
1) qualità della materia prima;
2) quantità della materia prima principale rispetto all’insieme della pietanza;
3) grado di difficoltà ovvero quantità di tempo necessaria all’elaborazione del piatto;
4) presentazione e temperatura di servizio del prodotto.
Questi sono alcuni tra i più importanti indicatori che vanno oggettivati, resi cioè comprensibili per il cliente che deve dare il giusto valore al prezzo di ciò che consuma. Quando una attività è gestita nel rispetto dell’equilibrio di questi fattori, il cliente che apprezza sia le componenti materiali che immateriali del prodotto ristorativo sa che queste condizioni appartengono ad un determinato locale e di conseguenza tenderà a sceglierlo con maggiore frequenza rispetto ad altri.
Una situazione di questo tipo ha un diretto effetto sugli indicatori economici della gestione, non ultimo il RevPash che traduce la semplice redditività lorda del posto a sedere per ora di servizio considerata. È a questo punto evidente come il valore del RevPash è fortemente condizionato da due elementi tra loro strettamente interrelazionati, il tasso di occupazione e il valore dell’incasso.
Ad un rapporto prezzo/qualità equilibrato, in generale, secondo i principi economici, dovrebbe corrispondere un livello di affluenza della clientela tale da assicurare un buon volume di affari con ricadute positive su quell’indicatore di efficienza gestionale tanto di moda di questi tempi quale è il RevPash; in caso contrario, si è in presenza di una condizione di sofferenza.
Cosa accade quando il prezzo non è corretto
Ma se il ristoratore non è in grado di determinare correttamente il prezzo del piatto – magari pensando che il RevPash sia una formula buona per tutte le stagioni – si possono verificare due situazioni: la prima, quella appena descritta di scarsa affluenza; la seconda, che pur con una presenza importante di clientela il valore della spesa media (scontrino medio) sia contenuto a causa della scarsa propensione a spendere, condizione questa spesso ricorrente soprattutto in molti locali di provincia.
Che ne è a questo punto del RevPash? Beh, il suo valore è semplicemente basso e, come ho già avuto modo di dire in qualche precedente articolo sul tema, a mio parere questo indicatore ha molti limiti soprattutto nella specifica situazione della ristorazione italiana.
Non solo, ma se per effetto di una politica di prezzi contenuti il locale è molto frequentato, il RevPash potrebbe anche essere relativamente alto ma non soddisferebbe la necessità di sapere quanto sia davvero profittevole la gestione poiché si potrebbe incorrere in una classica situazione di costi fissi del personale piuttosto alti necessitata dalla esigenza di far fronte ad un numero considerevole di avventori, con conseguenze anche sulla qualità del servizio reso e dello standard produttivo.
Per concludere, il prezzo correttamente calibrato induce più avventori a frequentare il locale purché il valore dell’offerta sia coerente con esso; per contro, il gestore deve avere ben chiari i limiti derivanti dalla capacità di carico del locale perché si realizzino in maniera armonica le cosiddette “economie di scala” che nel caso della ristorazione significano essenzialmente costo del personale, senza perdere di vista anche gli effetti che ricadono sulla tempistica del servizio (produzione e distribuzione) e sulla percezione di qualità del cliente.
Tutti questi elementi insieme combinati, che vanno dall’incasso ai costi operativi, determinano in ultima analisi il valore del profitto, cioè quel compenso che al gestore rimane come premio della fatica sopportata e che mal si concilia con un indicatore freddo qual è il RevPash.
Questo, a mio parere, sembra essere figlio dell’esaltazione collettiva dei giorni nostri di tutto ciò che assomiglia più a valori finanziari che a soddisfazione reale del cliente, l’unico che in ultima analisi è arbitro di un destino di successo o meno di un ristorante.
L’importanza del prezzo flessibile
Uno degli assiomi del marketing dice che “la missione di una azienda è quella di perseguire il profitto attraverso la soddisfazione del cliente”, ma sembra che molti l’abbiano dimenticato ed hanno sacrificato sull’altare dell’effimero la sostanza delle cose.
E la sostanza, nella ristorazione, è che il locale sia innanzitutto frequentato da clienti, poi che questi possano spendere e in ultimo che siano così soddisfatti da non cercare necessariamente alternative. Questo circolo virtuoso però, di questi tempi, necessita di politiche di prezzo flessibili secondo i giorni della settimana e non solo più secondo i momenti della giornata, accompagnati da proposte promozionali vere per avvicinare il cliente al prodotto.
Nel medio termine, se i risultati saranno stati positivi, anche gli effetti sul RevPash potranno essere altrettanto interessanti, ma ancor di più nel medio-lungo periodo quando, fidelizzando la più ampia base di clientela possibile, si consolideranno quegli elementi strategici come il numero di frequentatori, il livello medio di incasso, il livello massimo di costi fissi e l’ottimizzazione di quelli variabili (food & beverage).
Con buona pace del margine operativo lordo, che è quello che dovrebbe principalmente interessare i ristoratori poiché è da lì che si determina la profittabilità della gestione oppure no.