Destination Management

Stagione nera per il turismo italiano

Come sempre al termine della stagione estiva si tirano le somme e mai come quest’anno, da più fronti, giungono i primi consuntivi di un diffuso calo di presenze turistiche che sembra aver risparmiato pochissime aree del Paese.

Sotto accusa, per questo vero o presunto debug, più o meno tutti. Istituzioni e operatori, i primi colpevoli di non avere una strategia di sistema e di mal gestire le risorse pubbliche, i secondi soprattutto per il “carovacanza” e la cultura dell’accoglienza.
Quelli che verranno, saranno mesi in cui si susseguiranno e accavalleranno balletti di numeri, da quelli degli osservatori di categoria – i primi a evidenziare la caduta libera – a quelli istituzionali a più livelli, ai quali si uniranno in coro – per smentire o amplificare – quelli di matrice più politica.
Dopo due anni di sostanziale crescita del settore che ha nascosto taluni problemi, annebbiato certe menti e profuso entusiasmi, sembrerebbe così sotto gli occhi di tutti, ormai, una crisi generalizzata del turismo italiano.
Se fosse confermata, non saranno bastati i segnali d’allarme che già da anni venivano lanciati da voci inascoltate, da quel fronte invisibile di operatori consapevoli, che forse avevano molto più chiara la realtà della situazione.
E adesso, come nei primi anni ’90, si ripartirà tutti quanti a ricercare le cause e a domandarsi come uscire da questa crisi. Ancora una volta la situazione congiunturale dell’economia internazionale avrà messo in evidenza la debolezza del sistema turistico italiano che soccombe, con reazioni o presunte tali che arrivano, se arrivano, solo a consuntivo e di fronte ad una effettiva perdita di mercato.

Media e stampa di questi ultimi  giorni, ma presumo ancora per molti mesi, sono ricchi di spunti, denunce, situazioni, appelli e contrappelli che fotografano un’Italia turistica un po’ confusa. Ad occuparsene anche la stampa estera che dalle colonne del Wall Street Journal ha reso nota al mondo l’inettitudine con la quale si è gestito il portale italia.it e il fallimento del nuovo logo, per una politica di immagine unitaria, rifiutato e bollato come “inadeguato” e “senza storia”, nonostante ci sia costato 100.000 euro (“Il turismo italiano verso il momento cruciale” di Davide Berretta). Articolo che ci confronta con la Spagna – nostro competitor –  e che evidenzia come là si è riusciti a fare una strategia di brand, mentre in Italia non si è riusciti neppure a fare un sito. Spagna che nel suo piano strategico per il turismo, usa l’Italia e le sue “cattive pratiche” come benchmark negativo per fare meglio dei “peggiori della classe”, di chi ha potenzialità, ma fa di tutto per non valorizzarle.

Cronache che riportano eventi del passato, i famosi “polli da spennare” come i cinque euro per un succo di frutta a Viareggio, o il caro ombrelloni,  o ancora il caro alberghi nelle città d’arte, fino ad arrivare al britannico The Indipendent che in un articolo ha elencato, a segnare la nostra attenzione per il turismo, i divieti previsti in alcune ordinanze comunali.

Ma se gli operatori si giustificano con l’aumento generale dei costi e le ripercussioni sui loro servizi,  oppure per effetto dell’euro forte che ha scoraggiato i visitatori esteri e spinto gli italiani a volare verso mete internazionali meno care, hanno molto meravigliato in questi giorni i dati sulla spesa complessiva per il turismo da parte delle regioni italiane: circa 7 miliardi di euro dal 2001 al 2006, sia per la promozione (il 39%) sia per gli incentivi al sistema turistico. In realtà tali dati erano conosciuti sin dallo scorso novembre, ma richiamati in questi giorni hanno tutt’altro sapore. Si è parlato di spreco, ma è bene dire che il turismo nel complesso beneficia di stanziamenti irrisori rispetto ad altri settori, al di sotto del due per cento del bilancio delle singole Regioni (i trasporti e la gestione del territorio ricevono trasferimenti pari al 13%, l’amministrazione generale al 9%, l’agricoltura all’8%, l’industria al 7%, l’istruzione al 5%).
Non c’è dubbio però che sprechi ve ne siano. Come riportava “Odissea dello spreco  – Viaggio allucinante nelle spese pazze degli Enti locali”, edito (già da qualche anno) da Confedilizia, parlare di sprechi si intende l’acquisto di un bene al prezzo meno conveniente; spreco è l’eccessivo ricorso a consulenti esterni a fronte di eserciti di dipendenti pubblici, spreco sono le indennità ”a troppi zeri” e i troppi privilegi concessi ai nostri rappresentanti nelle istituzioni. Spreco è un progetto che non vedrà mai la luce o la vedrà 50 anni dopo, spreco sono gli incessanti e continui appuntamenti ludici organizzati dagli Enti locali, ad apparente vantaggio dei cittadini o del turista, i quali in realtà necessitano di più servizi o di servizi semplicemente adeguati, spreco sono i continui viaggi all’estero dei nostri amministratori, con nutrite delegazioni al seguito, per quella curiosa malattia che va sotto il nome di “convegnomania” o di “turismo assessorile”. Spreco è l’istituzione di rappresentanze italiane – di tutte le Regioni, e adesso anche di minori Enti locali – all’estero, lussuose anche dove non servono.
I casi eclatanti non mancano così come gli allarmi sempre più concitati lanciati ogni anno dalla Corte dei Conti. Nonostante ciò si continua su questa strada, ogni realtà per suo conto, senza alcuna strategia unitaria.