Food Beverage

Testimonials of a Chef Revolution

Bonjour chefs, artisti culinari, ristoratori, appassionati dell’alta cucina e semplici “good-forks”! Oggi parliamo di grandi chef. Anzi di video su grandi chef. Permettetemi di fare pubblicità gratuita a Netflix, la famosa piattaforma di servizi streaming on line.

Vi inviterei ad abbonarvi, anche per un solo mese (è molto semplice disdire, non essendoci vincoli di alcun tipo), perché così potrete visionare la serie di documentari autoprodotti dalla stessa Netflix dal titolo “Chef’s Table”.

chef foto 1

Di documentari su chef superstar ne esistono tanti, ma vi segnalo questa docu-serie perché non ne ho viste altre di pari livello.

Finora è possibile vedere le prime due stagioni, per un totale di 12 episodi, dedicati a 12 avvincenti storie di 12 chef contemporanei, che rappresentano il meglio dell’avanguardia culinaria mondiale.

Quando la ristorazione è rivoluzionaria

Oltre alla vita non ordinaria dei protagonisti, l’aspetto più interessante, a mio avviso, è la continua ricerca non solo di inedite ricette, quanto piuttosto di nuovi modi di cucinare, volta a rivoluzionare il mondo della ristorazione (e del servizio!), che senza tradire il principio fondamentale per cui il cibo debba essere buono, si spinge verso orizzonti sempre più vasti attraverso percorsi spesso ignoti.

Avvertenza: rischio spoiler molto alto, è sconsigliata la lettura di quanto segue ai cinefili più intransigenti. Procedendo in ordine random, vi consiglierò le puntate relative ai ristoranti che mi hanno incuriosito di più.

Magnus Nilsson

Innanzitutto quella dedicata a Magnus Nilsson. Poco più che trentenne, svedese, il mio preferito tra tutti. Vi anticiperò poco: basti pensare che per raggiungere il suo ristorante stellato, Fäviken (41° al mondo), occorre prima arrivare a Stoccolma, prendere poi un altro volo per l’aeroporto Östersund di Åre, senza dimenticare, alla partenza, di prenotare un taxi che vi attenda all’uscita, visto che restano ancora 80 Km di strada da percorrere in mezzo al nulla.

Perché è proprio lì che si trova l’universo di Magnuss, in mezzo al nulla. Eppure, se bisogna prenotare almeno 6 mesi prima per raggiungere un posto tanto isolato, nonché spendere almeno 300 euro a persona vino escluso, vien da pensare che forse ne vale la pena.

E se ciò non bastasse a incuriosirvi, vi dico anche che il geniale chef lavora solo con ingredienti spontanei dell’area circostante, o in parte autoprodotti, nonostante i 6 mesi di buio durante i quali non cresce niente altro che i centimetri di neve e ghiaccio!

Qui gli chef ne sanno molto più di me, ma per chi non lo fosse, sappia che il Km zero e l’alta cucina non vanno molto d’accordo.. È giusto rappresentare il territorio, ma la creatività, in ogni ambito, viene esaltata dall’assenza di limiti e dalla contaminazione. Usare prodotti provenienti da un’unica regione, per un grande chef, potrebbe equivalere a tarparsi le ali da solo..

Ma Magnuss è il vero grande artista e, come tutti i suoi rari simili, fa ciò che altri non riuscirebbero nemmeno a immaginare. Il risultato è una cucina essenziale ma sorprendente. Ulteriori succulenti dettagli: assenti il menu e i camerieri.(!?).

magnus nilsson faviken

Magnus Nilsson – Faviken

gallo cedrone

Gallo cedrone, concentrato d’interiora, funghi e bacche di sorbo

 

Grant Achatz

All’altro estremo della galassia collocherò Grant Achatz. Quanto più la cucina di Magnus è esteticamente asciutta e minimalista, quella di Achatz è elaborata e complessa. Se i sapori dello svedese sono autentici, quelli dell’americano risultano deliberatamente ingannevoli. Da una parte si ricerca l’essenza, dall’altra lo stupore.

Grant Ashatz ha alle spalle una storia costellata di momenti bui e difficili, che però non gli hanno precluso la scalata fino alla 15esima posizione nell’ambitissima lista del “The World’s 50 Best Restaurants” con il suo Alinea, a Chicago.

Anche qui dirò molto poco, o almeno quanto basta per indurvi a chiedere: ma stiamo ancora parlando di cucina? Se altri grandi chef stellati, ad esempio, si chiedono “come possiamo trattare la liquirizia per farla meglio amalgamare al risotto?”, le domande, che Ashatz e i suoi numerosissimi chef si pongono, vanno dal “come possiamo far volare il dessert?” al: “Possiamo servirlo senza piatti e senza posate, direttamente sulla tovaglia?”.

Oppure ancora: “Possiamo cucinare la carne sul tavolo degli ospiti senza che questi se ne accorgano?”. E continuano così fino a quando riescono a concretizzare i loro visionari intenti.

Ovviamente, per realizzare tali inconsueti propositi, in cucina, accanto all’olio di oliva e al sale, ci saranno azoto liquido, alginato di sodio, cloruro di calcio, etc. (manca solo la kriptonite), perché Achatz, come altri super chef, è stato allievo di Ferran Adrià, il padre più incisivo della cucina molecolare, che, come innovatore, sta alla cucina come Picasso all’arte, come Tarantino al cinema e come Internet al mondo della comunicazione.

PS (super spoiler): Grant Achatz, all’apice della sua carriera, a causa di un grave male, perderà il senso del gusto..! Dramma enorme, oltre che imprevedibile sfiga, se di questo si tratta.. (guardare per commentare). Ma tenacemente riuscirà a risolvere anche questo..

PPS: Magari a qualcuno, guardando il cuscino della foto che seguirà, verrà da pensare a tanta fuffa, ma sia la critica nonché gli appassionati clienti parlano di suggestioni talmente forti da sfiorare la magia.

Grant Achatz Alinea

Grant Achatz – Alinea

fagioli bianchi

Fagioli bianchi, molti contorni, cuscino d’aria di noce moscata

Niki Nakayama

Se vi piacciono i colori non potete perdervi la puntata dedicata a Niki Nakayama. Il suo ristorante N/Naka si trova a Los Angeles. E qui potremmo speculare per ore sulla città e lo stile di vita di chi la abita, distante anni luce dal mondo reale, e su come tutto ne sia influenzato, alta cucina inclusa. Ma non lo faremo.

Piuttosto ho trovato inquietante scoprire che, anche in una società come quella statunitense, il ruolo della donna nell’alta cucina possa ancora essere guardato con scetticismo e che i commenti più malevoli ricevuti dalla Nakayama siano sessisti e provengano proprio da critici e colleghi.

Niki è giapponese, donna (ma l’avrete già capito), sposata con il suo Sous Chef (anch’essa donna), e per anni è stata costretta a nascondere la propria identità, almeno fino a quando il suo N/Naka non è decollato. Passando alla sua cucina, cosa aspettarsi da uno chef giapponese? Sushi? Anche, ma non è questo il caso. Piuttosto una ricerca estetica eccezionale.

La Nakayama s’ispira al Kaiseki, un antico stile di cucina giapponese, meno famoso del sushi, ma che, come ogni stile di cucina locale, riflette il territorio e la stagionalità degli alimenti. Ed anche lei, come Magnus, porta la cucina tradizionale di casa nel mondo dell’alta ristorazione, contaminandola di modernità.

PS: anche al N/Naka, come per 49 dei 50 chef migliori al mondo (dato reale), esiste solo il menu degustazione. Ma in questo caso, la personalizzazione va oltre a quanto fatto da qualsiasi altro ristorante. Le varie modifiche che si possono richiedere e ottenere, e che sono, anzi, incoraggiate durante approfonditi colloqui telefonici con gli ospiti durante la prenotazione, fanno si che alcune sere vengano serviti menu diversi per i diversi tavoli.
PPS: Aperto (solo) 4 sere a settimana.

Niki Nakayama N Naka

Niki Nakayama – N/Naka

Brodo di carota

Brodo di carota

Massimo Bottura

Tra i 9 chef rimasti (ma si parla di altri in arrivo con la terza stagione) c’è Massimo Bottura. Per chi non avesse ancora familiarità con questo nome, stiamo parlando del migliore chef al mondo. Numero uno tra i numeri uno. Primo posto nel “The World’s 50 Best Restaurants” per l’anno 2016. Tre stelle Michelin.

E, motivo di orgoglio per un paese in decadenza, Chef Bottura è italiano. Il che è il primo motivo del suo successo. Il secondo, la regione di appartenenza, e quindi la cultura del parmigiano e dei tortellini (parte degli stessi critici hanno stabilito che quella di Modena sia la migliore cucina al mondo). Il terzo, sempre a mio avviso, è la moglie. Il quarto, come per tutti, un po’ di fortuna. Il quinto, una residenza da Ducasse a Parigi (che fa curriculum quanto Ferran).

Almeno questo è quanto traspare dai 50 minuti dedicati. Nelle immagini e nei racconti proposti dal video, in realtà, ci sono momenti in cui qualche dubbio sul suo recente primato viene: i metodi di selezione degli ingredienti sembrano in alcuni casi dilettantistici (la fruttivendola al mercato che lo bacchetta perché la spesa non si fa alle 11 se si cerca la prima scelta) e in altri addirittura inefficaci (quando “sente” la forma di parmigiano e ne deduce che non sia buona e viene smentito dall’esperto).

Con questo non penso minimamente che Bottura sia un bluff: a quei livelli non lo è nessuno. Eppure la sensazione che mi trasmette il video che lo riguarda è che sia leggermente sopravvalutato rispetto ai colleghi rappresentati nella docu-serie. Può darsi che sia semplicemente una puntata un tantino più debole, forse per motivi tecnici cinematografici che ignoro.

Ho apprezzato molto, invece, come sia cresciuto il suo senso estetico nel tempo, affinatosi grazie anche a quello molto più evoluto della moglie, che lo ha introdotto all’arte contemporanea. Basta visitare il sito del suo ristorante, L’Osteria Francescana, per ammirarne lo stile e l’eleganza.

Massimo Bottura Osteria Francescana

Massimo Bottura – Osteria Francescana

black on black

Black on black

Jiro Ono

Sempre restando su Netflix, ma fuori dalla serie finora citata, vi consiglio un documentario dedicato a Jiro Ono.

Ha più di novant’anni e prepara, a detta di tutti, ma proprio tutti, il miglior Sushi al mondo. Il suo ristorante a Tokyo ha solo 9 posti (!!), le consuete tre stelle Michelin, costa i soliti 300 euro a persona, ma per la breve durata del pasto, 20 minuti (!), il locale viene considerato il più caro al mondo.

Tutto ciò nonostante sia ubicato nei sotterranei di un vecchio palazzo, sia arredato in modo spartano e Jiro in persona vi serva uno alla volta i pezzi di sushi, fissandovi con una severità da incutere, nel migliore dei casi, una certa apprensione. In tutti i casi, invece, comunicherà il suo feedback di gradimento… sull’ospite (!) con un inappellabile verso gutturale: mgrh!!

Se Magnuss e Achatz stanno agli estremi opposti della galassia, Jiro si trova proprio su un’altra galassia. Giusto altre due parole: chi prepara sushi non è un creativo. Non c’è spazio e tempo per la fantasia, anzi, l’inventiva va scoraggiata. Il buon Sushi si regge su due pilastri fondamentali: la qualità della materia prima e la tecnica, durissima da padroneggiare, fisicamente logorante, quotidianamente dolorosa.

La sola gavetta dura almeno un decennio. Il che permette di capire appieno il significato della parola “dedizione”.

PS: non sono ammessi turisti non accompagnati da guida locale.

Jiro Ono Sukiyabashi Jirō

Jiro Ono | Sukiyabashi Jirō

ventriglio d'aringa

Ventriglio d’aringa

David Munoz

Per chiudere, sempre in tema di video e grandi chef, vi propongo quello promozionale del ristorante Diverxo, a Madrid, dello chef David Munoz.

Oltre all’altissimo valore tecnico del video in sé, potrebbe essere il giusto trailer per l’alta cucina moderna. Diverxo ha un concept veramente difficile da definire… oserei “surreal-punk-gothic”, parole difficili da accostare all’alta ristorazione e a tre stelle Michelin, ma tante sono quelle che gli appartengono.

david munoz

Chef David Munoz – Diverxo

 

senza titolo

Senza titolo

V’invito a prestare attenzione anche al servizio in sala, e non solo per Diverxo. La classica mise en place viene rivoluzionata dall’introduzione di pinze, bacchette, spatole, palette e posate dalle forme mai viste e, ancora, taglieri al posto di piatti che richiamano tavolozze o tele per quadri, pietanze servite su cucchiaini ed imboccate dai camerieri, altre da mangiare con le mani o servite direttamente sulla tovaglia, pietanze gratinate direttamente a tavola con mini fiamma ossidrica (caramellatore), altre che vanno semplicemente aspirate, e tantissimo altro ancora.

Queste novità mi divertono, e non poco. Sarà perché ho ricevuto una formazione tecnica molto rigida in Svizzera, dove maestri nazi-style contavano i millimetri di distanza dall’estremità del cucchiaio al bordo del tavolo che avevi preparato, o, se facevi volare un cubetto di ghiaccio dal secchiello allo shaker, ti urlavano (giustamente) “qui non siamo al circo!”.

Non voglio arrivare a dire che oggi sia meglio di ieri, assolutamente. Anzi, la corrispondenza tra ogni singola regola del servizio e un oggettivo beneficio per l’ospite mi è sempre risultata rassicurante, come la matematica e qualsiasi altra disciplina dove le regole hanno un senso.

Ma allo stesso tempo mi piace che oggi vengano premiati chef e ristoratori che non abbiano paura di andare oltre le regole, pur senza abolirle, ma semplicemente inventandone di nuove.

Bon appétit!