Turismi

Tradizione: possibile valore aggiunto ai prodotti locali?

Come promesso nello scorso post – Enogastronomia tra Tradizione, Innovazione e Promozione turistica territoriale – tracciamo la rotta da seguire per promuovere i cibi locali tipici secondo una “metodologia” in grado di coniugare il marketing tradizionale – se così si può ancora definire – con alcuni principi cardine delle scienze umane, in particolare l’antropologia culturale. L’antropologia culturale fornisce una serie di conoscenze alla base dei processi di riconoscimento del prodotto come appartenente alla tradizione, dando così un forte valore aggiunto “pubblicizzato” in prima persona degli stessi residenti in un dato territorio.

Come già anticipato nello scorso appuntamento è nostro gradito ospite Luca Ciurleocollaboratore di Landexplorer e giovane esperto in antropologia culturale a cui facciamo subito alcune domande.

Ciao Luca presentati agli amici di FormazioneTurismo.

Mi chiamo Luca Ciurleo. Dopo la laurea specialistica in Antropologia culturale ed etnologia, studio da diverso tempo la realtà “folk” del territorio, in particolar modo le feste del Piemonte. Il mio ultimo campo di analisi è invece legato all’alimentazione ed al nuovo calendario alimentare e rituale dettato dalla società contemporanea.

Nel proliferare e nella continua ricerca della tradizione e nel dare l’epiteto di “tradizionale” ad un prodotto quali processi si devono attuare?

Il termine “tradizione”, oggi, è abusato. Ogni prodotto, persino le merendine confezionate e prodotte industrialmente, si rifanno alla tradizione e, nel loro marketing, fanno riferimento a questo sostrato culturale. Pensiamo semplicemente a quelle merendine che ripropongono il quantomeno improbabile mugnaio Antonio Banderas… La ricerca della tradizione smuove, all’interno dell’inconscio personale, una sorta di “certificazione”, che permette all’acquirente di valutare, e di conseguenza pagare, il prodotto di più. Il solo fatto che un prodotto venga considerato “tradizionale” fa sì che l’utente sia disposto a pagarne anche un 20% in più, alcune volte persino il 50%! Quando qualcosa, un prodotto enogastronomico – ma anche una festa o un vestito tipico – diventa tradizionale, viene collocato – possiamo dire – al di fuori del tempo, o meglio in un “tempo mitico” completamente a-storico, slegato dallo scorrere effettivo degli anni. Mi spiego meglio: qualsiasi cosa tradizionale si rifà ad un tempo mitico, che può essere da 100 a mille anni fa, se non ancora più remoto.

Quindi se ho ben capito: se la comunità approva il prodotto esso diventa “memoria” della comunità e quindi diventa tradizionale, giusto?

Giustissimo: una “cosa” diventa tradizionale quando si colloca, possiamo dire, “al di là del tempo e dello spazio”, in un – permettetemi di parafrasare l’etnologo francese Marc Augé – “non-tempo della tradizione”.

Ho anticipato nello scorso post di questa rubrica il termine “fakelore”. Spiegaci meglio da dove nasce questo termine, come si è evoluto e perché è possibile applicarlo ai prodotti locali.

Il termine, inventato da Dorson negli anni ’50 del Novecento indica come fakelore il: “folklore inventato e presentato come se fosse autenticamente tradizionale. Può riferirsi sia a storie completamente inventate, sia ad antico folklore riadattato ai tempi moderni”.

Quando il fakelore si trasforma in “folklore”?

Quando le persone “tradizionalizzano” e collocano al di là del tempo l’origine di una festa o di un piatto. Cito brevemente l’esempio degli gnocchi all’Ossolana. Si tratta di un primo piatto a base di gnocchi di castagne, serviti con formaggio o con burro e nocciola. Sono il simbolo della gastronomia tradizionale ossolana. In realtà, facendo alcune ricerche bibliografiche, non ne troviamo traccia, ma i veri gnocchi all’ossolana citati dai testi erano semplici gnocchi di patate. Questa ricetta nasce dalla mente dello chef Sergio Bartolucci nel 1984. Quindi il piatto “tradizionale” (e vi assicuro che ci sono anziani pronti a giurare di aver sempre mangiato, anche da piccoli, questo tipo di pietanza), ha una data di nascita e risale a meno di trent’anni fa. Parlando in termini di tradizione, con processioni che si svolgono da 5-600 anni, a l’altro ieri.

Quando il “folklore” si trasforma in “fakelore”?

Quando lo si vuole snaturare e si vogliono far prevalere gli aspetti “turistici” rispetto a quelli fondativi dell’evento festivo. Mi spiego meglio: grazie ad Internet ed alla velocità con cui corrono le informazioni un qualsiasi paese può far conoscere i propri rituali e le proprie feste, che potenzialmente possono diventare turistici, o almeno fonte di interesse per alcuni appassionati. Si tratta di tradizioni antichissime, spesso fortemente devozionali,che, se “corrotte”, rischiano di trasformarsi in “carnevalate”. E per “corrompere” una festa basta poco, pochissimo. Se gli organizzatori di una determinata processione di fede, dove ad esempio escono degli alberi rituali o delle maschere tradizionali, decidessero di replicare l’evento scollegandolo dal calendario rituale, oppure di uscire dall’ambito devozionale per partecipare ad una festa di carnevale in un’altro paese, la tradizione sarebbe stata irrimediabilmente corrotta. Ed ecco allora che una processione di fede antica di cento-duecento anni si trasformerebbe di punto in bianco in un qualcosa di inventato di sana pianta.

Cosa succede quando la comunità “disconosce” il prodotto locale? Cioè perde completamente il suo “valore aggiunto” anche in termini di marketing?

E’ proprio la perdita della propria identità, o meglio della co-residenza (il senso del paese), della co-discendenza (quello che potremmo definire il senso della famiglia e della parentela) e della co-trascendenza (la spiritualità, la religione comune), che ha fatto cadere, nel giro di mezzo secolo, l’uomo post-moderno in una profondissima crisi. Perdere il legame con il proprio territorio non può che essere fortemente negativo e disastroso anche in termini di marketing.

Ci lasci qualche consiglio o astuzia da presentare al nostro pubblico per migliorare le iniziative di promozione di questi particolari prodotti locali? Soprattutto dacci qualche consiglio su come muoverci all’interno di valori immateriali su cui far leva al fine di meglio promuovere il prodotto in esame?

Innanzitutto consiglierei di agire sulla tradizione, che “turisticamente”, in questi periodi di crisi economica aiuta molto. Inviterei a puntare sulle stranezze e le peculiarità, soprattutto in campo enogastronomico, uno di quelli che non conosce crisi. Sconsiglierei invece di investire troppo sulle usanze festive, soprattutto quelle religiose. Il rischio, portando decine – e poi l’anno dopo centinaia – di persone, magari non mosse da una forte fede ma semplicemente dalla voglia di inseguir “virtute e canoscenza”, in un paese di alta montagna per assistere alla processione di sant’Antonio, rischierebbe di alterare i delicati equilibri festivi e della performance che, nel giro di qualche anno, si trasformerebbe in qualcosa di diverso, di “turistico” nella peggior accezione del termine, ovvero di inventato, posticcio e fatto solo per “spillare soldi”.

Dopo una parte teorico-pratica vediamo assieme un caso studio seguito da Landexplorer e dal nostro ospite.

Le Cerrine di Casale Corte Cerro: da fakelore a folklore

cerrine

Figura 1 la vecchia etichetta delle Cerrine semplice ed efficace!

Da qualche mese Landexplorer sta seguendo la “nascita” di un prodotto locale che punta a diventare il dolce tipico locale di Casale Corte Cerro, piccolo paese tra Gravellona Toce ed Omegna nella provincia del VCO, in Piemonte.

Tutto nasce dall’idea delle maestre delle scuole elementari del paese quando, durante il mese di maggio di cinque anni fa, ospitano a scuola il presidente dell’Associazione la “Compagnia dij Pastor” che ha per obiettivo lo studio e la conservazione della cultura tradizionale e della lingua regionale nei territori del VCO decidendo di fare una piccola ricerca sul vestito tradizionale del paese e sulle ricette tradizionali.

Purtroppo la memoria degli anziani del paese non ha portato grandi risultati, anche perché la vicina influenza dell’industria del casalingo omegnese ha fatto ben presto dimenticare il ciclo di vita contadino per adeguarsi ai ritmi delle fabbriche, anzi, nel gruppo di ricerca delle ricette locali oltre ad un alimento definito focaccina (presente in tutto il VCO in diverse varianti), non ha prodotto alcun risultato significativo.

A questo punto l’idea: bimbi, maestre ed il presidente dell’associazione decidono di creare un dolce secondo ciò che si potrebbe ancora raccogliere dalla terra a Casale; ed ecco che la presenza di tanti castagni, da cui è possibile estrarre la farina di castagne, si origina una parte della ricetta ed il nome dato al prodotto sarà “Cerrine” nato dalla forte presenza di alberi di Cerro (da cui si fa risalire anche il nome del paese). Prima di concludere il mese di lezioni di “storia locale” viene anche creata la “leggenda delle Cerrine”, una leggenda di fondazione del dolce, cioè una storia più o meno inventata capace di “datare” approssimativamente le origini di questo alimento, nel caso specifico “sfociano” nella pura fantasia dei bambini.
A fine anno scolastico, vengono prodotti alcuni biscottini “Cerrine” da far assaggiare genitori e parenti durante la festa di fine anno e dal conseguente successo, quasi insperato, si chiede al Panificio Fenaroli, realtà artigiana nata e cresciuta in paese, di produrre questo piccolo biscotto dandogli una forma davvero particolare: il biscotto sembra una foglia di cerro!

Prima di andare avanti nella descrizione del caso facciamo subito delle considerazioni:

1. Il lavoro di ricerca purtroppo non ha dato grandi risultati, ma la conoscenza del territorio ed il continuo relazionarsi con esso ha creato le condizioni ideali per muovere i ragazzi nella ideazione del dolce e, soprattutto, della leggenda di fondazione.
2. La creatività dei ragazzi ha dato un valore aggiunto forte al prodotto e, nello stesso tempo, ha permesso agli stessi di diventare “ambasciatori” del proprio territorio, valore molto difficile da trasmettere oggigiorno.
3. Il panificio ha l’arduo compito di valorizzare il dolce, valorizzare il territorio e la sua comunità, cercando di coniugare anche una attività economica, dove, si sa, l’aspetto finanziario non è una componente di second’ ordine!
4. La comunità si sente rappresentata dal suo dolce tipico, molti anziani ormai utilizzano frasi del tipo “da piccolo ho mangiato le Cerrine”, “le Cerrine sono sempre esistite” ecc… Frasi rivelatrici dell’attaccamento di questo dolce alla comunità (nato meno di 5 anni fa), addirittura alcuni parlano della presenza di un “vecchio statuto comunale” in cui sia citata la “Cerrina”!

Da queste piccole e semplici affermazioni si capisce quanto sia difficile promuovere un prodotto entrato ormai nel DNA della comunità cercando di coniugare questo valore aggiunto con l’economia senza rischiare di svilirne il risultato, ecco che diventa importante rivolgersi a professionisti in grado di intuire l’anello di congiunzione e di lavorare in team con la possibilità di avere al suo interno diverse professionalità in grado di “fondersi tra loro”.

Oggi le Cerrine, oltre ad essere un biscotto, sono diventate un gelato, prodotto sempre a Casale Corte Cerro, grazie all’interessamento di una gelateria locale e si sta organizzando una serie di attività di promozione di questo dolce.

Durante alcune merende letterarie, organizzate dall’Ecomuseo del lago d’Orta e Mottarone, oltre al classico assaggio è stata letta ed “interpretata” la leggenda di fondazione.

In questo caso si è voluto presentare il valore della comunità ad un target molto ben preciso: infatti, in questa tipologia di manifestazioni sono presenti persone interessate a conoscere il territorio del Cusio e non solo, partendo da alcune peculiarità e particolarità sconosciute o poco valorizzate.

assaggio_cerrine

Figura 2 un assaggiatore di Cerrine

Sempre in queste occasioni è stato preparato un volantino tascabile molto semplice, metà A4, fronte retro dove veniva riportata la leggenda delle Cerrine, i classici contatti del panificio, ma, soprattutto, veniva inserito un codice QR che, se visualizzato con QR reader da smartphone, indirizza al sito internet (oggi in restyling) del panificio.

volantino

Figura 3 volantino fronte/retro con codice QR e trascrizione della leggenda

Nelle scorse settimane le “Cerine” sono state protagoniste di uno scambio di prodotti tipici tra l’Italia e la Lettonia grazie ad un progetto di incontro fra giovani, alcuni di loro promettenti imprenditori, voluto dalla provincia del VCO e finanziato, in parte, dall’ Unione Europea!

Nel prossimo futuro saranno due, fondamentalmente, le azioni di promozione di questo dolce: la creazione di un packaging (ad oggi molto “artigianale”) che sappia coniugare il prodotto al territorio, dove saranno presenti foto di Casale Corte Cerro molto significative per la comunità del paese e la possibile rivendita di questo prodotto a negozi di alimentari e a distributori specializzati in prodotti tipici, tra l’altro esigenza molto sentita anche in altre aree del VCO.

Dopo aver letto queste ultime righe, qualcuno potrebbe obiettare: tutte belle cose, ma la comunità di Casale Corte Cerro che cosa riesce ad ottenere in cambio? Cioè il panificio che cosa consegna, in termini di valore aggiunto, alla comunità?

L’ipotetica domanda non solo è giusta ma interessante poiché “costringe” a fare un “salto culturale” nel “ritrasformare” un’entrata economica in un valore per il territorio e quindi la risposta potrebbe essere articolata secondo questo schema:

1. Tutti gli eventi culturali e turistici di Casale, hanno visto il panificio presenta nelle azioni di promozione dal semplice finanziare i volantini e depliant pubblicitari a fornire confezioni regalo e dolci per assaggi
2. Il dolce diventa “veicolo” per creare turismo in un territorio minore con due componenti fondamentali: il turista semplicemente interessato a comprare il dolce ed il turista che vuole allargare la conoscenza di questo territorio situato all’esterno dei collegamenti principali tra i grandi centri del VCO. A lungo termine si può pensare di avere un turismo più consapevole e rispettoso delle comunità locali, ciò che Luca, da bravo antropologo, ha brevemente cercato di spiegare nell’ultima parte a lui dedicata.
3. I residenti si sentono orgogliosi di avere il proprio prodotto tipico, si sentono “ambasciatori” della propria terra, si ritrovano nei valori portati dal dolce ed inconsapevolmente, attraverso il passaparola, aiutano un’economia artigianale, la quale, un po’ più lentamente può prevedere nel futuro posti di lavoro, quindi nuova occupazione, che andrà, a lungo termine, a sostituire l’economia industriale del VCO, ormai nettamente in declino.

Bene, siamo giunti alla fine di questo post. Sicuramente la presenza di Luca può aver creato “confusione” ed aver accelerato molto le considerazioni che da anni alcuni appassionati di marketing turistico e territoriale si stanno ponendo. Ma siamo sicuri di aver portato a conoscenza degli amici di FormazioneTurismo, qualche idea nuova partendo da concetti semplici, ma assolutamente non banali!

Non mi rimane che ricordarvi di commentare questo post, se preferite nel Forum Turismo & Turismi, e se siete in questa condizione o da tempo volete dare nuova linfa a prodotti tipici e tradizionali non esitate a contattarci!

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