Turismo e calamità naturali, dai terremoti alla tragedia dell’hotel Rigopiano
Il turismo interessa, ed è interessato, da una serie di situazioni che lo rendono estremamente legato ai territori e sensibile a qualsiasi evento li riguardi.
La letteratura è concorde sul fatto che, per essere turisticamente attraente, una destinazione deve avere alcune caratteristiche essenziali fra cui quella di essere sicura, dove per sicura si intende non essere coinvolta in guerre o atti di terrorismo, in cui non ci si venga a trovare in situazione di pericolo per la propria incolumità, dove una persona non sia oggetto di furti e rapine.
Turismo e sicurezza
Tutto questo è abbastanza evidente anche se, nei fatti, non così scontato: la maggior parte dei turisti viaggia per piacere e desidera trascorrere vacanze serene e tranquille, ma c’è anche chi non si lascia fermare da situazioni di incertezza, anzi preferisce un turismo più avventuroso e visita comunque luoghi interessati da problematiche che possano interferire con l’incolumità personale.
Quando si parla di sicurezza di una destinazione bisogna anche tenere conto di un aspetto ambientale che non è affatto di secondaria importanza: il territorio, le caratteristiche dell’ambiente naturale, il clima, le conseguenze dell’antropizzazione di una località sono altrettanto importanti, se non di più, della sua situazione interna.
Sono numerosi i casi noti alle cronache mondiali in cui problematiche ambientali rilevanti hanno avuto una grande importanza per il turismo delle destinazioni coinvolte: eruzioni vulcaniche, terremoti, tsunami, alluvioni, valanghe, tempeste di neve, per non parlare dei disastri ambientali causati dall’uomo.
Come non ricordare il maremoto e il conseguente tsunami nell’Oceano Indiano avvenuto il 26 dicembre 2004, l’uragano Katrina che distrusse New Orleans nei giorni fra il 23 e il 30 agosto 2005, il terremoto di Haiti il 12 gennaio 2010, l’eruzione del vulcano Eyjafjöll in Islanda – iniziata il 20 marzo 2010 e che causò problemi alla navigazione aerea in tutta Europa fino al 9 maggio – e il terremoto, con conseguente tsunami, avvenuto in Giappone l’11 marzo 2011?
Sono soltanto alcuni esempi fra i tanti che potremmo citare, ma sono certamente fra quelli che più sono rimasti impressi in tutti noi, anche perché fortemente mediatici.
La strada da seguire: il turismo sostenibile
L’Italia è un Paese bellissimo, capace di offrire al visitatore luoghi e paesaggi di rara bellezza, spesso unici al mondo e per questo riconosciuti dall’Unesco patrimonio dell’umanità, ma è un paese dal territorio fragile: spesso geologicamente giovane e quindi instabile, in alcuni casi eccessivamente antropizzato, altre volte sfruttato in modo eccessivo o inadeguato per motivi di carattere industriale, produttivo o, addirittura, turistico.
Ma alla natura non possiamo spiegare perché abbiamo costruito più di quanto il territorio potesse sostenere, o su terreni inidonei, o in modo inidoneo edifici e infrastrutture troppo impattanti: la natura non può capire e non può prevedere se e quanto pioverà in un certo periodo, quanta neve scenderà, se la terra tremerà o se un vulcano riprenderà la sua attività magari dopo secoli di sonno (o presunto tale).
Spetta all’uomo porre maggiore attenzione e non approfittare dei territori, tenendo in maggior conto le reali problematicità ambientali che l’Italia presenta ed evitando eccessi che, se possono dare un vantaggio immediato, nel tempo possono anche rivelarsi disastrosi.
Costruire meno e meglio
È qui che l’importanza della sostenibilità diventa cruciale. Costruire meno e meglio strutture e infrastrutture, tenere conto della capacità di carico di un territorio, considerare il rischio – dove il rischio esiste perché storicizzato e anche dove non esiste – perché sappiamo che quello del “qui non è mai successo” non è un metodo efficace, mentre il fare le cose bene lo è.
Turismo sostenibile significa anche popolazione e turisti maggiormente consapevoli, rispetto del territorio e cultura: anche questo può essere un tema di quel turismo dell’esperienza che ben si sposa con i nostri territori più delicati.
Quando la cultura rimargina le ferite
Le attività culturali, inoltre, hanno una grande valenza nel contribuire al risanamento delle ferite che l’identità di un territorio subisce a causa di un evento disastroso, perché contribuiscono a ricomporre quel legame fra la comunità e i suoi luoghi che è necessario per fare di un territorio un luogo vero e proprio, attraente dal punto di vista turistico e quindi, nuovamente, destinazione.
Analizzando alcuni casi degli ultimi dieci anni, il pensiero ricorrente è che il turismo sostenibile sia l’unica strada possibile per far sì che il turismo in Italia sia davvero un motore per lo sviluppo economico e sociale dei territori, in particolare – ma non solo – per i piccoli centri, i borghi storici, le località di mare e di montagna.
Calamità naturali in Italia dal 2008 a oggi
Praticamente ogni anno, se non più volte all’anno, l’Italia è coinvolta in avvenimenti legati all’ambiente naturale che riguardano molto spesso, direttamente o indirettamente, località turistiche.
Questo perché il nostro paese è tutto interessato dal turismo, in qualche modo: a volte è una località specifica, a volte un’intera area più ampia o una regione, quindi anche i collegamenti stradali o ferroviari del paese diventano parte della “destinazione Italia”.
I casi di calamità naturali che abbiamo citato sono solo alcuni esempi che riguardano il resto del mondo, ma non possiamo certo trascurare i numerosi, e spesso infausti, eventi ambientali avvenuti nel nostro paese, nel passato e, come noto, anche di recente.
Fra i tanti avvenimenti degli ultimi dieci anni, abbiamo scelto di ricordarne brevemente tre: la grande nevicata avvenuta in Piemonte nell’inverno del 2008, l’alluvione delle Cinque Terre del 2011 e, ultimi sono in ordine cronologico, i fatti dell’Italia centrale, funestata nel 2016/17 da terremoti, tempeste di neve e valanghe.
Piemonte 2008: la grande nevicata
Piemonte 2008. Nel 1972, una nevicata inusuale e storica fece cadere sui tetti delle case di montagna piemontesi alcuni metri di neve: nella località sciistica di Prato Nevoso l’accumulo al suolo fu di 8 metri e circa 6 metri scesero a Frabosa: negli inverni successivi la neve scese e non scese a seconda degli anni, talvolta generando seri problemi alle località sciistiche che risentirono pesantemente dell’assenza della “materia prima” del turismo invernale.
Poi venne il 2008. Iniziò a nevicare a novembre e già fu una nevicata importante, ma da lì a pochi mesi l’accumulo fu sorprendente: Alàgna Valsèsia (VC) 480 cm, San Giacomo di Roburént (CN) 400 cm, San Domenico Varzo (VB) 380 cm, Pràli (TO) 350 cm, Alpe Dèvero (VB) 330 cm, Bielmònte (BI) 300 cm. Le altre località montane ebbero accumuli fra i 120 e i 280 cm.
Troppa la neve per le piccole località di montagna, non più avvezze forse a certe quantità, e nel tempo cresciute, talvolta con troppi edifici costruiti ad uso e consumo dei turisti: la stagione sciistica subì un rallentamento, perché fu necessario prima mettere in sicurezza l’abitato, sgomberare la neve in eccesso dai tetti, in primis, e poi dalle strade.
Ai villeggianti le cui case richiedevano un intervento urgente, si chiese di salire per contribuire a liberare i tetti delle abitazioni, ma a tutti gli altri si disse di stare a casa: sarebbero stati solo d’intralcio.
Cinque Terre 2011
Il 25 ottobre 2011 il levante ligure e la Lunigiana vengono travolti da un diluvio che riversa sul terreno 542 mm di pioggia in sei ore. I fiumi Vara e Magra e i loro affluenti, a carattere torrentizio, si ingrossano ed escono dagli argini allagando tutto, in particolare le località di Borghetto di Vara, Brugnato e Aulla.
Contemporaneamente le Cinque Terre sono travolte da fiumi di fango e detriti franosi di vario genere che si staccano dalla montagna e dall’edificato sovrastante: Bonassola, Levanto, Monterosso al Mare e Vernazza le località più duramente colpite.
In particolare le strade principali di Monterosso e Vernazza si trasformarono in pochissimo tempo in fiumi in piena: il deposito alluvionale, in particolare a Vernazza, alla fine sarà di alcuni metri di spessore e arriverà quindi a seppellire letteralmente le attività commerciali e, a volte, i primi piani delle abitazioni.
La rete stradale e quella ferroviaria sono messe a dura prova e così le comunicazioni: danni ingenti alle infrastrutture stradali, smottamenti e frane nel 43% delle strade provinciali, un tratto dell’autostrada A12 chiuso.
La strada statale 1 Via Aurelia interrotta anch’essa a causa delle numerose frane, la ferrovia bloccata da uno smottamento a Vernazza, decine di paesini della Val di Vara raggiungibili soltanto in elicottero e telecomunicazioni interrotte.
Molte le persone sfollate: 238 a Monterosso, 150 a Vernazza, 196 a Borghetto, 199 a Brugnato per un totale di 1.183. In Val di Vara i movimenti franosi continuano per giorni, bloccando di fatto le comunicazioni stradali. Il bilancio finale è di 13 vittime e danni economici ingentissimi.
Sembra quasi un miracolo che, dopo tanto disastro, con l’arrivo della primavera le Cinque Terre siano di nuovo in grado di accogliere i turisti che da tutto il mondo vengono per vedere i suoi panorami, passeggiare nei suoi borghi e percorrere i suoi sentieri e che la stagione turistica non sia stata totalmente compromessa.
Certo il territorio soffre ancora ad ogni pioggia: ne è un chiaro esempio la chiusura della Via dell’Amore, tra Riomaggiore e Manarola, a causa di una frana il 24 settembre 2012, a meno di un anno dall’alluvione.
Quattro turiste australiane ferite e tante polemiche sulla gestione di un territorio così fragile che è Parco Nazionale e Patrimonio dell’Umanità Unesco. Il sentiero, famoso in tutto il mondo, da allora è chiuso al pubblico in attesa che siano completati gli imponenti e costosi i lavori di messa in sicurezza: solo un breve tratto, accessibile da Manarola, è stato riaperto nel 2015, ma si tratta di alcune centinaia di metri.
Qui, invece, è possibile dare un’occhiata alle foto dei danni causati dall’alluvione a Vernazza.
Terremoti e neve: Italia centrale in ginocchio
Il 24 agosto 2016 l’Italia centrale, area che vive in parte di turismo, è scossa da un violento terremoto: magnitudo 6.0, epicentro lungo la Valle del Tronto, tra i comuni di Accumoli e Arquata del Tronto.
Due potenti repliche fanno tremare la terra nuovamente il 26 e il 30 ottobre. Il 26 due scosse di magnitudo 5,4 e 5,9 (tra i comuni di Visso, Ussita e Castelsantangelo sul Nera), il 30 la magnitudo della scossa principale risulterà del 6,5 (epicentro tra i comuni di Norcia e Preci). Le vittime totali sono quasi trecento.
Quando tutto sembrava essersi calmato, almeno quel tanto da consentire le operazioni necessarie alla messa in sicurezza del territorio e alla ripresa, seppur lenta e difficoltosa, delle attività umane, si ripiomba nell’incubo: è il 18 gennaio 2017 quando una sequenza di quattro scosse di magnitudo superiore a 5, scuote nuovamente il centro Italia. Questa volta gli epicentri si trovano nell’Aquilano, fra i comuni di Montereale e Capitignano.
L’evento sismico si innesta su una situazione meteorologica problematica a causa di una perturbazione che sta riversando su tutta l’area una grande quantità di neve che, in alcune località, raggiunge diversi metri di altezza e a causa della quale 35.000 utenze sono senza corrente elettrica: una situazione senza precedenti, anomala e difficilissima.
La tragedia dell’Hotel Rigopiano
È in questo scenario che si svolgono gli eventi dell’Hotel Rigopiano di Farindola.
Sempre il 18 gennaio, intorno alle 17:00, dal Monte Siella (2027 m), sul Massiccio del Gran Sasso, si stacca una valanga che investe l’albergo e le 40 persone che sono al suo interno.
La situazione è complessa: nevica intensamente, molta neve è già a terra, la gestione dei soccorsi è impegnativa, manca la corrente elettrica, le strade sono impraticabili. I soccorritori riescono a raggiungere il sito soltanto all’alba del giorno dopo e soltanto con gli sci, mentre una turbina avanza faticosamente per aprire la strada.
Dopo giorni di lavoro incessante delle squadre di soccorso, saranno undici le persone sopravvissute e ventinove le vittime rimaste sepolte sotto le macerie dell’albergo travolto, ribaltato e spostato da una massa gigantesca di neve, alberi e detriti.
L’impatto sul settore turistico
Gli eventi dell’Italia centrale sono ancora troppo recenti e troppo lavoro c’è ancora da fare prima di poter capire quale sarà l’impatto che quanto avvenuto avrà sul turismo dell’intera area coinvolta dal sisma.
Quel che è certo è che lì nulla sarà mai come prima, perché interi borghi non esistono più, alcune strade non esistono più, tutto è da riprogrammare oltre che da ricostruire, prima di tutto le vite delle persone, migliaia delle quali adesso sono sfollate sulla costa ma che, con l’arrivo della stagione turistica, dovranno trovare un’altra sistemazione.
Ed ecco che di nuovo il turismo si intreccia con gli eventi ambientali estremi, anche se da un altro punto di vista: non possiamo lasciare gli sfollati senza un tetto ma non possiamo occupare le strutture alberghiere durante la stagione estiva.
La mappa del rischio secondo l’ONU
Il tema della sicurezza ambientale, si rivela quindi di fondamentale importanza per l’uomo e le sue attività, anche quella turistica. Per questo motivo nel 2016 l’Onu ha pubblicato il WorldRiskIndex 2016, una relazione corredata da una mappa del rischio, elaborata tenendo conto di numerosi indici.
Il rapporto, redatto dall’Istituto per la sicurezza dell’uomo e dell’ambiente dell’Università delle Nazioni Unite, evidenzia il ruolo fondamentale che ricoprono le infrastrutture e la logistica nel determinare gli esiti che un evento naturale estremo può avere sulla popolazione.
Se è vero infatti che ogni anno nel mondo milioni di persone sono potenzialmente a rischio di essere coinvolte in calamità naturali di vario genere, è altresì vero che alcuni paesi sono in grado di fronteggiare meglio di altri le avversità.
Ciò è possibile grazie a un’attenta pianificazione, a una costante manutenzione, all’affidabilità della rete elettrica e stradale a cui si sommano capacità di coordinamento, capillarità delle informazioni di servizio ed efficienza della catena logistica, tutti elementi di fondamentale importanza per raggiungere eventuali nuclei abitativi rimasti isolati, portare soccorso e distribuire beni di prima necessità.
Italia: l’indice di rischio
Fra i 171 paesi del mondo analizzati, l’Italia risulta a basso rischio con un indice di rischio del 4,4%. Il nostro Paese appare penalizzato dalla fragilità del suo territorio, ma premiato per la capacità di adattamento, un parametro che tiene conto dei cambiamenti strutturali a lungo termine adottati per ridurre al massimo gli effetti dei disastri ambientali.
Secondo Matthias Garschagen, direttore dell’Istituto per la sicurezza dell’uomo e dell’ambiente dell’Università che ha elaborato il rapporto, “La comunità internazionale deve investire di più nello sviluppo di infrastrutture critiche prima ancora che i disastri si verifichino. Infrastrutture adeguate e ben gestite non solo possono prevenire conseguenze catastrofiche ma anche svolgere un ruolo cruciale nella distribuzione degli aiuti umanitari in caso di disastro”.
Il futuro quindi è pensare e progettare sicuro, guardando in avanti ma sempre ricordando in quali territori e in che ambiente si sta operando. Il futuro è pensare -e progettare – sostenibile: non a caso il 2017 è stato dichiarato dall’Onu l’anno internazionale del turismo sostenibile.