Cultura

Turismo e cultura, tra marketing e destagionalizzazione

Appunti di marketing

Nel precedente articolo Turismo e cultura, idee e spunti per il rilancio di un territorio ci eravamo lasciati con alcuni interrogativi sulle carte da giocare per rilanciare una destinazione, per rendere più fruibili le località turistiche italiane o, ancora, di ampliare gli orizzonti del mercato uscendo dal rigido steccato della stagionalità.

Dare una risposta esauriente a tali quesiti esposti è naturalmente molto difficile. Esistono diverse sfumature strategiche che ormai si vanno affermando e che prendono spunto dalla digitalizzazione, ma che iniziano a trascendere dalle classiche OTA (con fee del 25%) in favore delle crescenti innovazioni (vedi airbnb con fee da 6 a 12%).

Destagionalizzazione: il caso Bauli

Volendo approfondire la visione strategica sulla destagionalizzazione si potrebbe partire prendendo spunto da alcuni casi aziendali famosi, come ad esempio quello della Bauli. Nel mercato dei panettoni si compra farina a marzo per incassare a dicembre, così quindici anni fa, in azienda iniziano un piano di acquisizione destinato a diversificare il ventaglio dei prodotti in vendita.

Acquistano così una piccola azienda che produce croissant e poi la Doria, forte nella produzione di biscotti, poi nel 2009 Motta e Alemagna fino al raggiungimento della leadership nelle festività. Poi Bistefani, Girella e Buondì, oggi i 2/3 dei loro ricavi non hanno più carattere stagionale, ma si potrebbe dire sia giornaliero, addirittura connesso al momento di consumo della colazione.

I “prodotti ombrello”

Beh, da questo si può trarre qualche insegnamento. Prima di tutto che va bene la specializzazione, ma bisogna dotarsi di “prodotti ombrello” necessari ad avere produttività e cash flow. In secondo luogo è necessario guardarsi intorno, o attraverso acquisizioni dirette o facendo rete. Da soli non si può costruire destagionalizzazione e crescita duratura.

In secondo luogo è necessario destagionalizzare. In un’azienda moderna non può essere un’eventualità piacevole, deve essere vista come una necessità.

Un altro esempio è la vicenda di MSC crociere, nel 2005 aveva 2.000 posti letto, oggi dopo una serrata politica di promozione delle crociere invernali è arrivata a ben 8.000.

Parte di questa visuale è strettamente connessa alla strategia con cui si crea affezione al prodotto con il fine ultimo, più difficile, di creare una vera e propria dipendenza. Il valore reale è certamente contenuto all’interno del prodotto, nella materia prima, ma tale valore per essere percepito (e affinché possa fidelizzare) deve essere comunicato.

Quando la materia prima diventa brand

L’internal brand deve diventare external. Sono molti gli esempi in cui la materia prima è diventata brand stesso del prodotto. Un esempio è il Gore-tex il materiale particolarmente resistente agli agenti atmosferici e traspirante.

Il suo nome vero è politetrafluoretilene microporoso ma oggi è solo Gore-tex e i consumatori sono disposti a pagare di più un prodotto che lo contenga. Così come la Lycra, oppure il caso più famoso di Intel Inside in cui ci fu un preciso progetto di Ingredient Branding, in cui l’invisibile doveva diventare visibile e costruire attorno ad esso l’affezione e la fidelizzazione.

Così è stato “costruito” valore per qualcosa che era invisibile e molte volte difficile da distinguere dalla concorrenza, per cui era difficile per il consumatore comprenderne il prezzo così alto.

L’imperativo: creare affezione nel consumatore

In base a questi paradigmi, creare affezione nel consumatore è diventato necessario. Per cui non risulta più solo necessario preoccuparsi di vendere. Un rapporto commerciale in cui si crea affezione è da considerarsi “win-win” nel caso in cui entrambi gli attori siano vincitori: da un lato l’azienda guadagna in immagine e fidelizzazione, dall’altro il cliente sa di chi fidarsi e risparmia.

È necessario veicolare il prodotto, però in modo emozionale, raccontare, far conoscere, fornire qualità, perché la qualità crea dipendenza.

La fidelizzazione applicata al turismo

Tra panettoni, merendine e tessuti volevo arrivare all’importanza della destagionalizzazione (e della collaborazione), di quanto questa sia difficile ma possibile anche nel turismo, perché c’è ancora molto da costruire e tanto da approntare nell’ottica della fidelizzazione del cliente, implementazione di infrastrutture e connessione in genere. Ma un cambiamento è fondamentale, perché sono mutate le esigenze dei turisti.

All’interno del sistema turistico italiano un grande deterrente dello sviluppo è stato, per anni, rappresentato dalla difficoltà nel fare rete e creare sinergie.

Nel Mezzogiorno questo problema è ancora molto sentito e difficilmente quanto detto fin ora può trovare applicazione in un sistema sconnesso. Difficilmente si crea sviluppo se non c’è dialogo, non c’è collaborazione, se non si predispone una regia preparata, se non si investe in ricerca & sviluppo.

L’importanza della ricerca e della formazione

Anche nel settore turistico c’è un estremo bisogno di fare ricerca, dare vita a laboratori, magari partendo dalle Università. Che troverebbero un sicuro ritorno nelle aziende distribuite su tutto il territorio, bisognose di professionalità.

Ma in questo Paese ci sono diversi problemi a fare quello che sembra doveroso fare.

Una recente analisi semantica in lingua inglese del “buzz” su internet, ha mostrato che il gradimento maggiore dei turisti è verso le pasticcerie (per i cinesi attrazioni culturali, shopping e gastronomia), i problemi maggiori evidenziati sui social riguardano i trasporti (peggio sugli aeroporti), la criminalità e la sicurezza e che le località migliori (Taormina, Salento, Forte dei Marmi, Portofino, Capri) sono quelle che riescono a intrecciare meglio l’italianità, la qualità e a materializzare l’esperienza del vivere italiano, specialmente nell’alberghiero.

Ma in Italia come siamo messi sul fronte dell’ospitalità? Ne parleremo nella terza e ultima parte delle riflessioni su turismo, cultura e prospettive di rilancio.