Destination Management

Turismo: l’Italia spende più della Francia, ma ottiene solo la metà dei risultati

Chiudiamo questo viaggio nel Piano Strategico 2020 con il grafico che più ha colpito e fatto scalpore, quello riguardante il prodotto turistico italiano. Questa volta relazionato non solo alla Spagna, ma anche alla vicina Francia.

Questo grafico è il più agghiacciante e mostra come il bouquet dell’offerta turistica italiana sia estremamente variegato e completo sotto ogni punto di vista turistico, ma scarsamente proporzionato nel rapporto qualità/prezzo. E ancor meno per quanto riguarda infrastrutture o ricettivo presente sul territorio.

In sostanza è carente per quello che attiene all’attività di sviluppo umana. È interessante e triste osservare come questo sia superiore specularmente rispetto alle concorrenti soprattutto in quei termini di paragone ambientali, nei core attractors, in poche parole negli attrattori che ci ha dato madre natura, quelli che avrebbero potuto essere fonte di vantaggio competitivo.

Sembra quindi, che all’estero abbiano fatto fruttare di più una cosa che aveva una valenza attrattiva minore. E noi di contro siamo stati in grado di non valorizzare (vedi il confronto tra le Baleari e la Sicilia) qualcosa che, in partenza, aveva già una più alta attrattività specifica. Questo può apparire un discorso spicciolo, ma ogni tanto un po’ di pragmatismo consente di sentirsi umani e cercare di ragionare più facilmente.

I numeri (impietosi) del turismo in Italia

Il contributo del turismo al prodotto interno lordo dell’Italia ammonta a oltre 130 miliardi di euro (circa il 10% del Pil) e le persone impiegate in questo settore sono quasi 3 milioni. Con questi numeri sarebbe opportuno fare il possibile affinché le cose dal punto di vista organizzativo funzionino al meglio.

Ma è proprio qui il gap. La Francia spende 27 milioni di euro in promozione, l’Italia 35. Quindi è evidente che c’è qualcosa che non quadra (e il ragionare spicciolo mi assale).

Dall’Enit (commissariata) alla babele di siti infiniti di promozione turistica territoriale che sono, nella maggior parte delle volte, non collegati alle realtà del territorio (siti di alberghi, musei) è difficile individuare una causa in particolare di questo assurdo scompenso di efficienza.

Il TD LAB sembra essere l’unico progetto virtuoso figlio del Piano, che ad oggi sta cercando di ristabilire un po’ d’ordine e ricostruire la brand reputation italiana. Anche se almeno per ora è prematuro giungere a qualche conclusione, i primi segnali non sembrano essere incoraggianti: di fatto si è ancora fermi all’anno zero e ai buoni propositi. Di concreto si vede poco o nulla. E l’antologia dell’assurdo accostato allo spicciolo continua.

Oggi l’Italia scivola al quinto posto nel mondo (sperando che sia ancora lì); il sito Italia.it sembra sia costato più di venti milioni di euro; il neo commissario straordinario Enit è un ingegnere nucleare; in Enit nel 2013 sono stati spesi 138.000 euro per comprare giornali e riviste, i suoi vertici percepiscono rimborsi (oltre gli stipendi) anche di 17.000 euro mensili.

La necessità di invertire la rotta

Persino il Vaticano, tramite il suo direttore dell’Ufficio dei Beni Culturali, Liberio Andreatta, chiede aiuto per la riqualificazione di questo ente in grave crisi di efficienza e utilità. (L’Espresso 15/09/14). In questo scenario apocalittico tutta la baracca sembra essere trainata da quattro regioni: Lazio, Lombardia, Veneto e Toscana, sebbene l’ultima meteo-stagione abbia variato un po’ questi assetti e stravolto degli equilibri molto precari.

Beh, questa digressione (durata quattro articoli) potrebbe continuare all’infinito ma vuole avere una finalità principe che è quella di comprendere, ragionare (a volte in maniera limpidamente spicciola), come si fa da diversi mesi in televisione su come l’Italia sia ricolma di bellezze e di come questo “patrimonio” vada perso, sugli sprechi, sull’estrema inefficienza che ci svuota e ci avvilisce piano piano.

L’ultimo treno. Sperando che non deragli

So che molti pensano che questa sia un’annosa questione che solo adesso sta salendo alla ribalta, ma credo che già parlarne sia parte della ripresa. Finora abbiamo sbagliato o quanto meno abbiamo visto le cose da un punto di vista errato. Ma adesso basta parlare, ci sono dei segnali di ripresa, ci sono “le rinascite dal basso”. E nel frattempo vediamo cosa saprà fare il TD LAB.

Abbiamo forse l’ultima opportunità per cambiare e riprenderci (e questo vale per tutto il nostro modo di fare). Cambiare significa anche semplificare e noi ne abbiamo un bisogno indicibile, una necessità imbarazzante che, se non soddisfatta, porterà questo Stato alla calcificazione burocratica senza più nulla da mostrare se non le nostre carte bollate, vecchi Piani strategici ed i nostri primati di spreco.