"Le mascherine uccidono i bambini". La storia della fake news partita dalla Cina
dal nostro corrispondente ALBERTO D'ARGENIO
Ad aprile due studenti cinesi sono morti per arresto cardiaco nello spazio di una settimana mentre prendevano parte alle lezioni di educazione fisica. Uno indossava la mascherina. È iniziato tutto da qui
BRUXELLES - Intorno alla metà di aprile sui social network cinesi si diffonde la preoccupazione per una morte sospetta: il 14 aprile – all’indomani della riapertura delle scuole dopo il lockdown - uno studente è deceduto durante una lezione di educazione fisica. Non è chiaro se indossasse la mascherina. Pochi giorni dopo muoiono altri due ragazzi, sempre durante l’ora di ginnastica. Entrambi portavano la mascherina. Sui social esplode l’ansia di molti genitori per gli sforzi estremi ai quali sono sottoposti dagli insegnanti dopo tre mesi di inattività fisica. Montano le critiche contro il modello estremamente competitivo del sistema scolastico cinese. Vengono sospese le pratiche sportive negli istituti. Un mese più tardi, dopo diversi passaggi nella centrifuga della disinformazione e del complottismo, in Italia il dramma degli adolescenti cinesi si trasformerà in una verità inconfutabile: “Le mascherine uccidono i bimbi”.
Sul sito di Repubblica nasce TrUE per combattere le fake news
dal nostro corrispondente ALBERTO D'ARGENIO
Come nasce la disinformazione? Come un fatto viene manipolato fino a inculcare nelle persone una convinzione falsa o non provata, o anche solo un timore? Come si crea confusione per raggiungere uno scopo politico? TrUE sceglie una storia meno nota – ma che si salda con l’intera narrativa complottista - rispetto a quelle sul vaccino anti Covid, sulle antenne 5G e sulle tesi relative all’inesistenza del virus o alla sospensione della democrazia. Un caso di scuola: come un accadimento viene spogliato della sua complessità e manipolato fino a trasformarsi in una fake news. Schema che si replica puntualmente quando un governo extra europeo – principalmente Russia e Cina - lancia una campagna di disinformazione veicolata poi nei nostri Paesi da soggetti legati ad alcune aree politiche con lo scopo di inquinare il dibattito pubblico, indebolire le istituzioni nazionali ed europee e guadagnare consensi.
Torniamo in Cina, è il 4 maggio quando il dramma dei ragazzi dalle chat dei genitori emerge su
People’s Daily e
Dahebao, organi di informazione del Partito comunista cinese. Nelle settimane precedenti sui social il panico e la rabbia si erano incanalati contro il sistema scolastico e i duri metodi di allenamento, mettendo in difficoltà le autorità pubbliche. I due media di regime spostano però l’attenzione su un altro tema, sollevano il dubbio – lasciato abilmente aleggiare e senza portare la prova definitiva - che la causa dei decessi possa essere invece legata all’uso delle mascherine. Nel qual caso non ci sarebbe alcuna colpa ascrivibile al sistema cinese.
Il 5 maggio è il
Daily Mail, tabloid inglese, a rilanciare la storia con l’interpretazione del
People’s Daily e di
Dahebao: «Due studenti cinesi sono morti per arresto cardiaco nello spazio di una settimana mentre prendevano parte alle lezioni di educazione fisica. Le autorità cinesi hanno cancellato i test di corsa per via delle preoccupazioni sulla salute degli scolari dopo tre mesi di chiusura degli istituti. Si crede che i ragazzi abbiano avuto problemi di respirazione durante gli esercizi a causa delle mascherine». Uno dei due adolescenti – segnala il
Daily Mail – indossava una maschera N95, un modello particolarmente filtrante.
Il giornale britannico prosegue il racconto seguendo quello dei media cinesi: «Cao Lanxiu, professore (di medicina tradizionale,
ndr di TrUe) all’Università di Medicina Cinese, non concorda con la tesi secondo la quale la mascherina abbia provocato la morte. “Non penso sia la causa di queste morti improvvise, se lo studente avesse avuto problemi a respirare ne sarebbe stato consapevole e non avrebbe continuato a correre fino a quando il cuore si è fermato”. Il professore ha aggiunto che l’unico modo per determinare la causa della morte sarebbe l’autopsia». Le famiglie degli studenti – scrive il
Mail citando la stampa cinese - non hanno però dato l’autorizzazione alla verifica per preservare i corpi. Insomma, nessuno saprà mai la verità: la credibilità del sistema scolastico cinese è salva.
Il giorno successivo, il 5 maggio, il
Global Times – controllato dalle autorità di Pechino - è il primo giornale cinese in lingua inglese a riportare il caso a beneficio del pubblico internazionale. L’autorizzazione del regime alla pubblicazione per l’estero dà alla notizia la forza dell’ufficialità. Può instillare anche nel lettore occidentale il dubbio sulle mascherine. Secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, l’Infodemia consiste in un processo lanciato da soggetti che «diffondono disinformazione, informazione inaccurata, distorta o voci durante un’emergenza sanitaria per compromettere una risposta pubblica efficace e creare confusione e sfiducia tra la gente». Per la Commissione europea, la disinformazione condotta da Russia e Cina (anche in relazione al Covid-19) punta a indebolire la democrazia, le istituzioni comunitarie e nazionali e a disgregare il continente.
Il 6 maggio, la notizia del
Global Times viene rilanciata dall’australiana
7 News. Il giorno successivo, il 7 maggio, tocca al tabloid americano
New York Post tornare sull’argomento. Lo fa citando proprio l’outlet australiano che a sua volta fa riferimento a quello cinese. L’articolo del
New York Post in Rete vola, attiva gli algoritmi dei social che danno un ulteriore spinta alla notizia considerata ormai di tendenza. Alla fine viene condivisa più di 60mila volte e viene visualizzata da milioni di utenti. Da qui in avanti cambia tutto.
A fare un ulteriore salto di qualità portando la storia nell’ecosistema del complottismo, a ripulirla dalla sua complessità, dalle incertezze, dalla sua origine probabilmente pilotata e a trasformarla in un fatto certo è anche QAnon, gruppo anonimo dell’alt-right americana molto ben organizzato e specializzato nella fabbricazione di fake news partendo da fatti reali. Piattaforma abituata ad esportare i suoi prodotti artefatti in tutto il globo. Così il dramma dei due ragazzi cinesi entra nel frullatore e di post in post, di commento in commento, con una tattica ben rodata, viene trasformato in un fatto certo: la mascherine uccidono.
La notizia arriva anche in Italia, alcuni media la riportano nella versione degli organi di informazione internazionale ma diversi siti iniziano a riportarla e spingerla nella forma distorta con una notevole forza di diffusione. Il 17 maggio su
Byo Blu Claudio Messora, ex comunicatore del Movimento 5 Stelle, intervista Stefano Montanari: il video su YouTube ha un titolo chiarissimo: “Giù la Mascherina che UCCIDE! 2 Bambini Morti in Cina. Ipercapnia e Acidosi”. La storia di quanto accaduto in Cina viene letta in diretta citando un sito di benessere, ma vengono ridicolizzati i condizionali e le forme dubitative utilizzate dall’autrice del pezzo. Il 23 maggio tocca a
Radio Radio intervistare Pasquale Mario Bacco: «Le mascherine ci fanno respirare più virus e batteri». Sulle polemiche legate alle misure sanitarie prese dal governo – alle quali ora si aggiunge l’obbligo di portare le mascherine - l’ospite della radio romana (sospesa e poi riattivata da YouTube in piena emergenza Covid) commenta: «Se fosse successo al Sud col cavolo che facevano passare ‘ste leggi. Campani, siciliani e calabresi si ribellavano. Al Nord c’è più rassegnazione».
In Rete il tam tam della notizia ormai distorta nella versione “Le mascherine uccidono” viene veicolato da decine di siti come “Informare per resistere”, “Manipolazione mediatica”, “Gruppo nazionale libera scelta vaccini”. Un ecosistema che si autoalimenta e si rinforza reciprocamente fino a creare una realtà in opposizione a quello che definiscono “mainstream”. Alla tesi secondo la quale le mascherine ammazzano i bambini, oltretutto, se ne aggiunge una seconda: fanno venire il cancro.
Un ulteriore salto di qualità del neonato movimento No-Mask arriva il 28 maggio, quando sei medici scrivono al premier
Giuseppe Conte denunciando, tra le altre cose, che «la stampa ha riportato anche casi di morti che potrebbero essere legate all’uso della mascherina durante attività lavorative, motorie o sportive». I firmatari sono proprio Pasquale Mario Bacco, il dottore intervistato da
Radio Radio, Antonietta Gatti, che l’agenzia
Adnkronos il 13 giugno definisce «scienziato No-Vax» insieme al marito Stefano Montanari. E ancora, Carmela Rescigno, responsabile sanità di Fratelli d’Italia, Fabio Milani e Maria Grazia Dondini. I sei sostanzialmente affermano che il Covid è una normale influenza, denunciano «la politica del terrore e la grave mistificazione della realtà» da parte del governo e concludono: «Nessuna evidenza scientifica permette di affermare che in questo stadio dell’epidemia sia ancora necessario mantenere le distanze di sicurezza, usare mascherine, indossare guanti oltre a curare l’igiene delle mani».
La lettera dei sei medici viene rilanciata dalle stesse decine di siti e gruppi che avevano pompato la versione “deviata” della notizia cinese. Tra questi diverse piattaforme dei Gilet arancioni e ancora “La cruna dell’ago”, “Io sto con Tarro”, “Lo Sai”; “Manipolazione mediatica”, “Partite Iva incazzate”, “Antonietta Gatti e Stefano Montanari patrimonio dell’umanità”, “Italiani si nasce non si diventa”, “Vaccini: se li conosci li eviti!”, “Gruppo sostenitori Vox Italia”, “No5GItalia”, “StopEuropa”, “Il nuovo ordine mondiale fallirà” e via dicendo. Ci sono anche corpose community (non ufficiali) di fan di leader politici di livello nazionale. Nella diffusione di massa della fake e della missiva giocano un ruolo fondamentale anche le chat su Telegram e Whatsapp che raggiungono enormi volumi di contatti direttamente sugli smartphone della popolazione. Post e messaggini a loro volta ripresi dagli americani di QAnon, che così chiude il cerchio della manipolazione. Tra l’altro vengono distorti gli avvisi delle autorità governative e dell’Agenzia europea per le malattie (Ecdc), che vengono estrapolati e citati in modo fuorviante, se non del tutto inventato, a sostegno delle tesi complottiste e No-Mask.
Così il 2 giugno, a Piazza del Popolo, il generale Antonio Pappalardo ha alle spalle una solida “letteratura” e una “base scientifica” in Rete che gli permette di urlare ai Gilet Arancioni: «Già alcuni che tengono troppo la mascherina si stanno ammalando di varie malattie, li stanno ricoverando». E ancora, cita la lettera dei sei medici: «Hanno scritto a Conte dicendogli stai attento a tenere la gente lontana, a fargli mettere la mascherina che se cadono malati tu rispondi con la tua testa». Su Internet è facile trovare video di manifestanti arancioni che si levano la mascherina, fanno selfie e si abbracciano. Una piccola minoranza, ma la notizia – che gioca su ansie, dubbi reali, discussioni tra sportivi sull’uso della mascherina durante gli allenamenti - lascia uno strascico di incertezza anche presso parte della popolazione comune, che non partecipa alle manifestazioni arancioni, condizionandone comunque comportamenti e scelte.
Ecco come un caso di disinformazione è nato e si è diffuso finendo per influenzare l’opinione pubblica. Stando a Stephan Lewandowsky, cognitivista dell’Università di Bristol, «c’è una forte correlazione nei Paesi europei tra il numero di persone che vota i populisti e il numero di persone scettiche contro i vaccini». Lo scetticismo sulle mascherine è culturalmente legato al mondo No-Vax. Se spesso le notizie false partono da potenze straniere con l’intento di indebolire l’Europa, anche i politici nazionali sono abili nello sfruttare ansie e paure indotte dalla disinformazione. Oppure ne riprendono parte delle argomentazioni per fare l’occhiolino a chi le fake news le ha già condivise in Rete – magari proprio grazie al lavoro dei gruppi che sostengono quello stesso politico - e guadagnarne il consenso. Basta fare una breve ricerca in Rete...
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